Pagina:Boccaccio - Il comento sopra la Commedia di Dante Alighieri di Giovanni Boccaccio nuovamente corretto sopra un testo a penna. Tomo I, 1831.djvu/193

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SOPRA DANTE 173

dallo infimo e depresso stato nel quale lungamente tenuta l’aveano l’appetito concupiscibile e irascìbile, e lei sotto i piedi delle loro scellerate operazioni tenendo, aveano occupata la sedia sua; e questo per tanto tempo, che essa non potendo il suo oficio esercitare, era tacendo divenuta fioca, cioè nell’esser fioca dimostrava la lunghezza della sua servitudine; e così rilevatala in essa pone la grazia cooperante: e parla dinanzi allo smarrito intelletto del peccatore. E di questo non è alcun dubbio, che noi quante volte ci ravveggiamo delle nostre disoneste operazioni, tante per divina grazia ricominciamo ad essere uomini, i quali non siamo quanto nella ignoranza dei peccati dimoriamo: anzi avendo la ragion perduta, siamo divenuti quelli animali bruti, a’ quali, come altra volta è detto, sono i nostri difetti conformi. Il che se altra dottrina non ci mostrasse, spesse volte ne ’l mostrano le poetiche fizioni, quando ne dicono alcuno uomo essersi trasformato in lupo, alcuno in leone, alcuno in asino o in alcun’altra forma bestiale. E come la ragione, dalla grazia salvificante è nella sua real sedia rimessa, fatta donna e consultrice e aiutatrlice del peccatore, il toglie co’ suoi ammaestramenti dinanzi a vizii, li quali gli hanno tolta la corta salita al monte, cioè al luogo della sua salute. E corta dice, perciocchè agli uomini, li quali in istato d’innocenza vivono, è il salire a questo monte leggerissimo, siccome il Salmista ne mostra, laddove dice: Quìs ascendet in montem Domini, aut quis stabit in loco sancto ejus? E rispondendo alla domanda, quello n’afferma che dico, dicendo: