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SOPRA DANTE | 243 |
come io sarei qui ritrovandomi senza le: E se l’andar più oltre, cioè più giuso, ci è negato,
Ritroviam l’orme nostre insieme ratto,
per la via tornandoci per la quale venuti siamo. E quel signor, Virgilio, che lì m’avea menato,
Mi disse: non temer, che ’l nostro passo,
cioè l’entrare nella città di Dite, Non ci può torre alcun, quasi dica, quantunque costoro faccian le viste grandi, e dican parole assai, essi non posson però impedire l’andar nostro; e pone la cagione perchè non possono, dicendo, da tal n’è dato, cioè da Dio, al voler del quale non è alcuna creatura che contrastar possa.
Ma qui m’attendi, e lo spirito lasso,
faticato per la paura,
Conforta, e ciba di speranza buona;
e poi pone di che egli debba prender la speranza buona dicendo,
Ch’io non ti lascerò nel mondo basso,
cioè nell’inferno, il quale più che alcuna altra cosa è basso. Così sen va, verso que’ demoni, e quivi m’abbandona Lo dolce padre, cioè lascia solo di sè: ed io rimango in forse, E ’l sì, e ’l nò, che egli debba a me ritornare come promesso m’ha, o rimaner con coloro, siccome essi il minacciavano, dicendo, tu qui rimarrai, nel capo mi tenzona, cioè nella virtù estimativa, la quale è nella testa. E poi segue, Udir non potei quel, che a lor, cioè a que’ demoni, sì porse, cioè si disse;
Ma el non stette là con essi guari,
Che ciascun dentro a prova si ricorse.