Pagina:Boccaccio - Il comento sopra la Commedia di Dante Alighieri di Giovanni Boccaccio nuovamente corretto sopra un testo a penna. Tomo II, 1831.djvu/249

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SOPRA DANTE 245

ch’io mi adiri, di quella ira la quale è meritoria, Non sbigottir, cioè non te ne entri alcuna paura, per ciò ch’io vincerò la pruova, dell’entrar dentro alla città, Qual, ch’alla difension, che io non v’entri, dentro s’aggiri, cioè si dea da fare perchè io non v’entri. Questa lor tracotanza, del fare contro a quello che debbono, non m’è nuova,

Che già l’usaro in men segreta porta,

che questa non è, e contro al signor del cielo e della terra, cioè di Gesù Cristo: e dice men segreta, in quanto quella è all’entrata dell’inferno, e questa è quasi al mezzo; perchè assai appare, questa essere più segreta e più riposta che non è quella: e questo fu, secondochè si racconta, quando Cristo già risuscitato scese all’inferno a trarne l’anime de’ santi padri, i quali per molte migliaia d’anni l’avevano aspettato; intorno al quale il principe de’ demoni co suoi seguaci fu di tanta presunzione, che egli ardi ad opporsi in ciò che esso potè, perchè Cristo non liberasse coloro i quali lungamente avea tenuti in prigione, e per questo metaphorice si dice Cristo avere spezzata la porta dell’inferno, e rotti i catenacci del ferro. La qual porta convenne esser quella della quale fa qui menzione l’autore, cioè la men segreta, alla qual poi non fu mai fatto alcun serrame, siccome esso medesimo dice,

La qual senza serrame ancor si truova,

Nè si dee intendere d’alcuna altra; perciocchè secondo la descrizione dell’autore, nell’inferno non ha che due porte, delle quali è l’una quella di che di sopra è detto, e della quale esso dice qui,