Pagina:Boccaccio - Il comento sopra la Commedia di Dante Alighieri di Giovanni Boccaccio nuovamente corretto sopra un testo a penna. Tomo II, 1831.djvu/267

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SOPRA DANTE 263

lor greggi. Gli occhi mi sciolse, dalla chiusura delle sue mani, e disse: drizza il nerbo Del viso, cioè il vigore del senso visivo, su per quella fiamma antica: qual questa fiamma si fosse, per la quale egli gli dimostra inverso qual parte riguardar debba, o alcuna di quelle che all’entrar della nave di Flegias vide, o altra, non si può assai chiaramente comprendere: crederei io, che ella fosse alcuna fiamma usa continuo di essere in quel luogo nel quale allora era, e questo credo, perciocchè egli la chiama antica, forse a differenza di quelle delle quali dissi che nuovamente eran fatte,

Per indi, onde quel fummo e più, acerbo,

cioè più folto, siccome nuovamente prodotto. Come le rane. Qui dimostra l’autore, per una breve comparazione, quello che guardando in quella parte, la quale Virgilio gli mostrava, facessero l’anime de’ dannati che quivi erano, e dice che

Come le rane innanzi alla nimica
Biscia per l’acqua si dileguan tutte, (fuggendo)
Fin ch’alla terra ciascuna s’abbica,

cioè s’ammonzicchia l’una sopra l’altra, ficcandosi nel loto del fondo dell’acqua, nella quale dimorano. Dice qui l’autore la nimica biscia, usando questo vocabolo generale quasi di tutte le serpi, per quello della idra, la quale è quella serpe che sta nell’acqua, e che inimica le rane, siccome quella che di loro si pasce: Vid’io piti di mille anime, cioè infinite, distrutte, perdute, Fuggir così, come le rane ha mostrato che fuggono, dinanzi ad un, nol nomina, perciocchè ancora nol conoscea, ma si