Pagina:Boccaccio - Ninfale fiesolano di Giovanni Boccaccio ridotto a vera lezione, 1834.djvu/188

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18 a m. pino de’ rossi

possa. Ingannato è chi così crede. Ampliò la povertà la maestà di Scipione in Linterno, dove il limitar della sua casa povera, come d’un sacro tempio da’ ladroni visitantilo fu reverito e adorato. E similmente la piccola quantità de’ servi menati da Catone in Ispagna, conosciuto il suo valore, il face maggior che lo imperio. Io aggiugnerò a queste, cosa colla quale io con agro morso trafiggerò l’abominevole avarizia de’ Fiorentini, la quale in molti secoli tra sì grande moltitudine di popolo ha tanto adoperato, che magnificamente d’onesta povertà più che di un solo cittadino non si possa parlare. La volontaria povertà d’Aldobrandino d’Ottobuono gl’impetrò e onore pubblico e imperiale sepoltura alla morte. Adunque non i grandi palagi, non l’ampie possessioni, non la porpora, non l’oro, non i vaii fanno l’uomo onorare, ma l’animo di virtù splendido fa eziandio a’ poveri gl’imperatori riverenti. E chi sarà colui sì trascurato che d’essere povero si vergogni, riguardando il Romano imperio aver la povertà avuta per fondamento; recandosi a memoria Quinzio Cincinnato avere lavorata la terra; Marco Annio Curio dagli ambasciatori di Pirro essere stato trovato sopra una rustica panchetta sedere al fuoco, e mangiare in iscodella di legno, e dette parole convenienti alla grandezza dell’animo suo, avere indietro rimandati i tesori di Pirro, e Fabricio Licinio i doni de’ Sanniti? E con questo guardando quanti e quali cittadini questi fossero in Roma tenuti, e in quante e quali cose essi esaltassero il detto imperio, il quale tanto tempo continuamente s’è dilatato, quanto siccome ca-