Pagina:Boccaccio - Ninfale fiesolano di Giovanni Boccaccio ridotto a vera lezione, 1834.djvu/214

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44 a messer francesco

fummo, con roca voce e colla verga dà il segno della battaglia, e comanda che vadano a tavola quelli che debbono cenare.

Di quinci io con pochi entrava alla prima tavola, come più onorato nella Sentina; ma nel cospetto mio sozza ed incomposta turba ruinava, senza comandamento aspettare, dove la fortuna gli concedeva.Ciascuno alla mangiatoia s’acconciava, desideroso del cibo; e a mio dispetto spessissime volte verso costoro io voltava gli occhi, i quali quasi tutti vedeva con gli nari del naso umidi, colle gote livide, con gli occhi piangenti in gravissima tossa esser commossi, dinanzi a sè e a me marcidi e rappresi umori sputare. E non è maraviglia: mezzi vestiti, quasi tutti di sottilissimi e manicati pannicelli, presso al ginocchio nudi, e disorrevoli e tremanti, scostumati, affamati a guisa di fiere trangugiavano le vivande poste loro innanzi. Che dirò de’ vasi boglienti per i cibi, simili a quelli del grande Antioco re d’Asia e di Siria? Forse lo penserebbe un altro tirato da falsa fama: io non ti posso ingannare, chè ogni cosa avevi apparecchiato. Egli erano di terra; la qual cosa io non danno, perocchè questi così fatti per l’addietro avevano in uso Curio e Fabrizio uomini venerabili; ma egli erano sozzi, e, siccome spesse volte io pensai, dalle botteghe de’ barbieri, e di quelli che pieni di corrotto sangue tengono i barbieri di Napoli, parevano essere suti imbolati. E se alcuno ve n’era di legno, nero e umido, e che sapeva e sudava del grasso di ieri, erano posti innanzi: il che spesse volte di tuo avvedimento m’avvidi essere stato fatto, ac-