Pagina:Boccaccio - Ninfale fiesolano di Giovanni Boccaccio ridotto a vera lezione, 1834.djvu/248

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78 a messer francesco

di sue ricchezze tutte, purchè egli traesse la generazione sua dagl’Iddii di Frigia: quasi si pensasse per quella generazione sè, di nulla, dovere acquistare molto più larghe ricchezze, titoli più chiari e fama più lunga. Oh quanto, al giudicio mio, è ingannato! Non sempre, non in ogni luogo si trovano pazzi, e appresso i quali sia gran copia di ladroni e povertà di consiglianti. Ma vegnamo dove è il desiderio. Che nel sangue, che nella schiatta di Troia vede costui di nobiltà più che nel suo, o in altro qual più gli piace? Non abbiamo noi i corpi da uno medesimo padre? non fabbricati da uno medesimo artificio di natura? non composti di quelli medesimi elementi co’ re e co’ lavoraiori, e con quella medesima legge, e passibili e mortali? Non del grembo della divina larghezza abbiamo noi tutti l’anime di libero arbitrio, di ragione e d’eternità dotate, e superinfuse ne’ corpi? Perchè adunque un’altra schiatta che la sua desidera? Che più in questa schiatta che nell’altre conosce costui? Vede costoro nobili, e coloro non nobili essere chiamati, ed i nobili essere avuti da maggior pregio; e però desidera avere ottenuto quello che non gli pare che conceduto gli sia, e, come sciocco, desidera dalle cose di fuori quello che entro sè vuole. Crede ognuno che ha sana mente, e io, da perfetto Creatore l’anime di tutti essere create perfette, e non avere differenza intra sè quando ne’ corpi s’infondono; nondimeno per lo congiugnimento de’ corpi pigliano diversità, la eternità servala. Ma de’ corpi, benchè da uno medesimo martello e da uno medesimo ordine sieno fabbricati, perchè