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168 orlando innamorato [St. 11-14]

        Ora voglio a Ranaldo ritornare,
     Che era condutto a caso tanto scuro,
     Che della morte non potea campare:
     Perduto ha il brando, che ’l facea sicuro.
     Fuggendo intorno, ogni cosa ha a guardare;
     Ed ecco avanza, quasi a mezo ’l muro,
     Un travo fitto dece piedi ad alto.
     Prese Ranaldo un smisurato salto,

        E gionse al travo, e con la man l’ha preso,
     Poi con gran forza sopra li montava;
     Così tra celo e terra era sospeso.
     Or quel monstro crudel ben furïava;
     Avenga che sia grosso e di tal peso,1
     Spesso vicino a Ranaldo saltava,
     E quasi alcuna volta un poco il tocca:
     Pare a Ranaldo sempre esserli in bocca.

        Era venuta già la notte bruna.
     Stassi Ranaldo a quel legno abracciato,
     Nè scia veder qual senno o qual fortuna
     Lo possa di quel loco aver campato.
     Ed ecco, sotto il lume de la luna,
     Però che era sereno e il cel stellato,
     Sente per l’aria non sa che volare:
     Quasi una dama ne l’ombra li pare.

        Angelica era quella, che venia2
     Per dar soccorso al franco cavalliero;
     Poi che in faccia Ranaldo la vedia,3
     Giettarsi a terra prese nel pensiero,
     Perchè tanto odio a quella dama avia,
     Che più non li dispiace il monstro fiero:
     Ello esser morto stima minor pene
     Che veder quella che a campare il viene.4

  1. P. gran peso.
  2. P. quella che venia, Per.
  3. Ml. e P. Ranaldo in faccia.
  4. Ml. li viene; P. campar lo.