Pagina:Boiardo - Orlando innamorato II.djvu/250

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240 orlando innamorato [St. 39-42]

         Nè so stimar chi sia quello Africano,
     Che occiso ha nostre gente tutte quante,
     Se forse non è il figlio di Troiano,
     Re di Biserta, che ha nome Agramante.
     Sia chi esser vôle, io vado a mano a mano
     Ad affrontarme con quello arrogante;
     Voi, Otachiero, e tu, Dudon mio caro,
     Prendèti a nostra gente alcun riparo;

         Chè io callo al campo come disperato,
     E son senza intelletto e coscïenza.
     O tu, mio Dio, che stai nel cel beato,
     Donami grazia nella tua presenza;
     Chè io te confesso che molto ho fallato,
     Et or ritorno a vera penitenza.
     La fede che io ti porto, ormai mi vaglia,
     Ch’io son senza il tuo aiuto una vil paglia.

         Così parlava quel baron gagliardo,
     Piangendo tutta volta amaramente;
     Giù della costa sprona il suo Baiardo,
     E batte per furor dente con dente.1
     Tornarno e’ due compagni senza tardo,
     Per condur sopra al poggio l’altra gente;
     Ma il pro’ Ranaldo menando tempesta
     Gionse nel campo e pose l’asta a resta.

         Ver Rodamonte abassa la sua lanza,
     E ben l’avea nel campo cognosciuto,
     Chè tutto il petto sopra agli altri avanza,
     Ne la sua faccia orribile et arguto,2
     E gli occhi avea di drago alla sembianza.3
     Or vien Ranaldo, e colse a mezo il scuto4
     Con quella lancia sì nerbuta e grossa
     Che avria gettato un muro alla percossa.

  1. T. e Ml. batte per.
  2. P. avanza Questo Africano orribile.
  3. P. Gli occhi aveva.
  4. T., Mr. e P. corse.