[St. 35-38] |
libro ii. canto xvi |
275 |
— Deh, diceva Atalante filiol mio,
Egli è un mal gioco quel che vôi vedere!
Sta’ti pur queto e non aver disio
Tra quella gente armata de apparere;1
Però che il tuo ascendente è troppo rio,
E, se de astrologia l’arte son vere,
Tutto il cel te minaccia, et io l’assento,
Che in guerra serai morto a tradimento.
Rispose il giovanetto: Io credo bene
Che ’l celo abbia gran forza alle persone;
Ma se per ogni modo esser conviene,
Ad aiutarlo non trovo ragione.
E se al presente qua forza mi tiene,
Per altro tempo o per altra stagione
Io converrò fornire il mio ascendente,
Se tue parole e l’arte tua non mente.
Onde io ti prego che calar mi lassi,
Sì ch’io veda la zuffa più vicina,
O che io mi gettarò de questi sassi,
Trabuccandomi giù con gran roina;
Chè ognior ch’io vedo per que’ lochi bassi
Sì ben ferir la gente peregrina,
Serebbe la mia gioia e il mio conforto
Star sieco un’ora, et esser dapoi morto.
Veggendo il vecchio quella opinïone,
Che gire ad ogni modo è destinato,2
Andò di quel giardino ad un cantone,3
Ove un picciol uscietto ha disserrato;
E menando per mano il bel garzone
Per una tomba discese nel prato,
A piè del sasso, a lato alla fiumana,
Ove si stava il re de Tingitana.
- ↑ Ml., Mr. e P. quella g. armata.
- ↑ Ml., Mr. e P. ad ogni.
- ↑ P. in un.