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de’ magi1 che dicevano: «Dov’è il re de’ Giudei ch’è nato? Perché vedemmo la sua stella nell’oriente e siam venuti ad adorarlo».

2. E sentendo questo Erode, fu turbato (Mt., 2, 1-3) e inviò de’ servi ai magi, e mandò a chiamare i gran sacerdoti e gl’interrogava dicendo: «Come sta scritto intorno al Cristo? dove deve nascere?» Gli dicono: «In Betlemme di Giudea: perché così sta scritto» (Mt., 2, 4-5). E li rimandò. E interrogava i magi dicendo loro: «Che segno vedeste circa il re ch’è nato?» E i magi dissero: «Vedevamo una stella grandissima, che splendeva tra queste stelle e le oscurava, sicché le stelle non apparivano (più); e così conoscemmo che un re era nato per Israele, e siamo venuti ad adorarlo». E disse Erode: «Andate e cercate, e se (lo) troverete, fatemelo sapere perché anch’io venga e l’adori» (Mt., 2, 9).

3. E i magi se n’andarono. Ed ecco la stella che avevan visto nel l’oriente li precedeva (Mt., 2, 9) finché giunsero alla grotta, e si fermò in capo alla grotta. E i magi videro il bambino con Maria sua madre, e trassero fuori doni dalla loro sacca: oro e incenso e mirra (Mt., 2, 11).

4. E avvertiti in sogno dall’angelo di non entrar nella Giudea, per un’altra via se ne tornarono al loro paese (Mt., 2, 12).

    È uno degli indizi rilevati da’ critici, per escludere che l’autore fosse un Giudeo. Ma come si spiega l’ἐν Βεθλεὲμ τῆς Ἰουδαίας che si legge, ne’ più de’ codici, una riga sotto, e più sopra c. XVII, 1? Forse è da intendere come la denominazione Antiochia di Pisidia, cioè ad Pisidiam, presso i confni della Pisidia. Alcuni codici emendano alla meglio ἐξ (ἐκ τῆς) Ιυδαίας ο ἐν τῇ Ἰουδαίᾳ, ovvero omettono l’indicazione.

  1. Il numero e il nome de’ magi non è indicato, come non è indicato nel N. T., né s’accenna alla loro regalità: cose tutte che la tradizione s’affrettò a immaginare e diffondere. Anche gli altri apocrifi, e ciò fa una certa maraviglia, taccion di tali cose (salvo qualche manoscritto) e delle altre non poche leggende relative ai magi. Sola eccezione, si può dire, è il Vangelo armeno dell’infanzia, c. V e XI (Peeters, pp. 98 e 131), il quale, conforme alla tradizione occidentale dal V secolo in giù (cfr. Leo M., serm., XXXI, 1, Tribus igitur magis in regione Orientis stella novae claritatis apparuit; XXXVI, 1; XXXVII, 2; XXXVIII, 1; Maxim. Taur., Hom. XVII, de Epiph., 1: venit ergo Bethlehem tunc in tribus magis tota gentilitas, ecc.), conta tre magi, cioè Melḳon, re de’ Persiani, Gaspar, re degli Indiani e Balthasar, re degli Arabi (Cfr. il ms. B dello Ps.-Mt. Gaspar mirram, Melchior thus, Balthasar aurum. A pag. 98 del vangelo armeno è nominato per secondo Balthasar, ch’è detto re degl’Indiani, mentre al terzo, Gaspar, è dato il paese degli Arabi. (Per non rigettare poi del tutto la tradizione orientale, che eleva a dodici il numero de’ magi, lo stesso apocrifo, accanto ai suoi tre re magi, ricorda i dodici capi d’esercito ai loro ordini). Gli antichi monumenti d’arte cristiana variano assai circa il numero de’ magi; poi, il numero tre finisce con imporsi.