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I. GLI APOCRIFI DEL NUOVO TESTAMENTO


«Apocrifo» (ἀπόκρυφος) vuol dir propriamente «recondito, segreto», e non ha per sé senso sfavorevole. Si volle anzi designar con tale nome un libro troppo sacro e augusto, per esser gittato nel pubblico e correr senz’altro per le mani di tutti. Ma nell’uso ecclesiastico (pur con qualche oscillazione), «apocrifo» divenne il termine tecnico a designar que’ libri che falsamente si spacciavano (pseudoepigrafici) o a torto eran ritenuti da alcuni come appartenenti alle Sacre Scritture1. E poiché i più di tali libri erano infetti d’eresia, «apocrifo» è assai spesso (non prima però del V secolo) sinonimo di libro eterodosso, pernicioso, condannato2.

Gli apocrifi del Nuovo Testamento si possono raccogliere nei quattro gruppi seguenti:

1º Vangeli apocrifi.
2º Atti apocrifi degli Apostoli.
3º Epistole e istruzioni pseudo-apostoliche.
4º Apocalissi apocrife.

Ma i testi giunti sino a noi sono solo una parte de’ numerosi apocrifi, ricordati incidentalmente dagli antichi scrittori ecclesiastici, o elencati in antichi cataloghi.

Il più ampio e importante catalogo antico di apocrifi neotestamentari si ha nel così detto decreto. Gelasiano de recipiendis et non recipiendis Scripturis3. Parecchi tuttavia de’ libri ivi elencati non sono propriamente degli apocrifi del Nuovo Testamento, ma libri eretici riguardanti personaggi dell’A. T. (Adamo, Giobbe, il gigante Og, Iamne e Mambre ecc.) e altre pubblicazioni ecclesiastiche più o meno eterodosse (anche se non pseudo-epigrafiche o anonime) ripudiate dalla Chiesa romana4. La lista, che non pretende esser completa5 s’apre con la condanna del sinodo di Rimini «ex tunc et nunc et in aeternum.... damnatum»; quindi prosegue6:

  1. È equivalente pertanto di extracanonico. Anche libri come le epistole di Clemente ai Corinti, l’epistola di Barnaba, le epistole di Ignazio e Policarpo, la Didaché, il Pastore di Erma, ecc., si potrebbero in qualche modo (non foss’altro per il fatto che parecchi figuravano nei codici biblici, quale il Sinaiticus e l’Alexandrinus, accanto ai libri canonici), far rientrare nella prima o nella seconda categoria di apocrifi; e come tali li troviamo infatti designati in antichi cataloghi e presso alcuni autori moderni. Ma i più, opportunamente, invece che tra gli apocrifi del N. T., li classificano tra i Padri apostolici.
  2. Ciò spiega come tra gli apocrifi del decreto Gelasiano (v. sotto) figurino per esempio il sinodo di Rimini o gli opuscoli di Tertulliano.
  3. Il titolo di decretum o decretalis Gelasii papae è certamente inesatto. Tuttavia la questione del Gelasiano non può dirsi ancora risoluta in tutti i suoi punti: v. per esempio da una parte E. Von Dobschütz, Das decretum Gelasianum de libris recipiendis in krit. Texte herausg. und untersucht (Texte u. Untersuch. 38, 4) Leipzig 1912; e dall’altra J. Chapman, On the Decretum Gelasianum de libris rec. et non rec., in «Revue bénédectine,» avril 1913, p. 187-202 e juillet 1913, p. 315-333; inoltre E. Amann in «Revue biblique», 1913 p. 602-608; R. Massigli in «Revue d’hist. et de litt. relig.» IV, 1913, pagine 155-170; E. Schwartz, Zum Decretum Gelasianum, in «Zeitschr. f. die neut. Wiss.» 1930, p. 161-168. Quel ch’è fuor di dubbio, è che il documento almeno nella sua forma attuale, non risale oltre la prima metà del VI sec.; sembra poi assodato ch’esso non è, come si credeva, un documento ufficiale della Chiesa romana, ma uno scritto privato, e neppure romano. Cfr. Dom. Cabrol, Dict. Arch. chrét. lit. Paris 1924.
  4. Un primo saggio di «Indice dei libri proibiti».
  5. «Cetera quae ab haereticis sive schismaticis conscripta vel praedicata sunt, nullatenus recipit catholica et apostolica romana ecclesia; e quibus pauca, quae ad memoriam venerunt et a catholicis vitanda sunt, credidimus esse subdenda».
  6. Dobschütz, p. 11 ss e 49 s.