Pagina:Brambilla - Sopra le Odi di Orazio tradotte da Mauro Colonnetti.djvu/16

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servo; si desidera la sublimità del verso: Horrenda late nomen in ultimas Extendat oras; reca fastidio il ripieno degli epiteti afri e divisi (san fino ai pesciolini che i Numidi eran popoli africani, e in conseguenza disgiunti dall’Europa per li gorghi frapposti); e finalmente è impicciolito il pensiero: secernit Europen ab Afro. Orazio, per magníficare, secondo il vezzo de’ cortigiani scrittori (nel cui numero egli fu; sebbene non meritasse di esservi aggreggiato da colei che è sempre avversa dei buoni) le vittorie da Augusto riportate sopra l’Egitto e la Spagna, pone il tutto per la parte; e così ci presenta il coronato suo protettore quasichè padrone dell’Europa e dell’Africa; di cui solo una porzione è la Numidia; dal Gargallo accennata a servigio della rima, alla quale si spesso è devotissimo servitore.

G. C.

Di lei, che a l’oro, cui la terra asconda,
(Meglio allogato allor) cura nè prezzo
Aggiunge, si diffonda
Più lodato il magnanimo disprezzo,
Che se ad usarne avara
Man rapace avventasse al tempio e a l’ara.
Tocchi, qual mai resista
Confin del mondo, con le invitte scuri;
E si affretti a veder tra’ regni sui
Ove il foco si spazii, ove la trista
Procella frema, ove la nebbia abbui.

Dispregi l’oro, che ben meglio giace
Sotterra occulto, e Roma gloriosa
Anzi che a trarre con la man rapace
A profan’uso ogni più santa cosa,
Fia che con l’armi le contrarie attinga
Parti estreme del mondo, e il corso spinga
Ove più verse il cielo
Furor d’ardori, ove di nebbie e gelo.

Qui il Colonnetti in un verso e mezzo volgarizza con bella disinvoltura ciò che il Gargallo in quattro, pieni di affettazione e di stento. Quest’ultimo, in una postilla all’ode terza del libro secondo, avvertì i lettori (addandosi egli stesso del suo difetto) che le terzine richiedon talvolta qualche perifrasi per ben accordare il sentimento al metro. Quantunque sia questa una scusa, per non dir peggio, appiccata con la scialiva, avvegnachè il metro non debba essere il letto di Procuste; pure non me ne offenderei, se non usasse perifrasi salvo nelle terzine. Ma egli, senza una discrezione al mondo, se n’aiuta per ogni metro; sicché dove Orazio con due, tre parole suggella in noi le imagini sue chiaramente, il traduttore le offusca, e dandocene sol de’ barlumi, ci fa dire: ella è non è, come chi vede le cose da sera sotto luna scema. Ecco una prova di ciò nelle parole: si diffonda più lodato il magnanimo disprezzo di lei. Che v’intendi tu mai? vien Giunone augurando a’ Romani il disprezzo delle più lontane nazioni, o che altro? Se Orazio non ci fosse Edipo, capiremmo niente. È poi maniera non buona aggiunger cura a checchessia; pleonasmo inelegantissimo al tempio e all’ara; stranezza volgere pluvii rores in trista procella; e a cui paresse bel cambio ove il foco si spazii per qua parte debacchentur ignes, farebbe più stima d’un vetro che d’una perla, come gl’Indiani dell’occidente. Anche mi dà maraviglia che il Gargallo (il quale mostra la sua grande perizia nell’idioma latino in una nota a quest’ode, ove ci avvisa che medius liquor sono due voci comunissime) non abbia compreso il facile concetto del verso: Quicumque mundo