Pagina:Brambilla - Sopra le Odi di Orazio tradotte da Mauro Colonnetti.djvu/6

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Apelle, allorchè dipinse Antigono ciero da un occhio: vo’ dire, ce lo darà sol mezzo a vedere. Lo stile d’Orazio è un miracolo d’arte e d’ingegno, e non ha di bisogno il soccorso dei traduttori; ma la musa gargalliana l’ha disformato con tante e così gravi magagne, che io non fo maraviglia che molti giudiziosi nomini la pospongano a quella del Pallavicini. E nel vero; Orazio ci consola d’una musica bensì tutta virile e dignitosamente romana, ma insieme armoniosa e soave; il Gargallo ne fa quasi sempre sentire il rimbombo, che, dal nome di chi lungamente gli orecchi italici ruppe e squarciò, suol chiamarsi frugoniano. Orazio è sempre poetico, sempre vivo di spiritose eleganze e, più d’ogni altro Latino, saporoso di greca venustà e gentilezza così ne’ traslati, che ne’ costrutti e modi del favellare; il Gargallo è spesse volte prosaico, spessissime disadorno, e sempre digiuno di quell’attica nutritura con cui primamente il Chiabrera la poesia, e il Giordani la prosa invigorirono. Finalmente ad Orazio non fallisce mai quella splendida brevità, che si conviene ad un lirico; il Gargallo all’opposito stempra i concetti di lui con tante circonlocuzioni, epiteti e altri suoi ghiribizzi, che toglie loro o la vivezza od il nerbo. Pensi ognuno che vuole: a me l’animo non consente opinione altra da questa; e da un pezzo facea voti acciò che il principe de’ latini lirici, anzi, a detta di Quintiliano, il solo di essi degno che si legga da noi, parlasse una volta con la nativa sapienza l’italiano linguaggio, o, come direbbe Dante, il nuovo latino. Ed ecco per nostra ventura l’intero volgarizzamento del signor Colonnetti (del quale, molti anni fa, con alcuni Saggi ne aveva invogliato acutissimo desiderio; sebbene vi fossero cose non per anco di quell’ultima pulitura, a che nel volume testè reso alle stampe si veggono bellissimamente ridotte); ove sono ad Orazio vendicate, se non tutte le sfolgoranti sue bellezze, certamente uno splendore di tante, che ben può dirsi risorto a una vita, che mai non ebbe sul Parnaso d’Italia. Sopra tutto io vanto il nobile traduttore dell’aver saputo conservare quell’urbano costume, onde il venosino poeta ingentilì mirabilmente i suoi versi, e rinfrescò nuovo colorito alla lingua nativa per via d’atteggiarne a un non so che di pellegrino le parole e le forme; che tolte dal luogo, ove sono poste da lui con quella fortunatissima audacia, che M. Fabio gli loda, di leggieri cadrebbero o in una trivial bassezza, o in una matta licenza. Non credere alle mie parole. Da un confronto, che voglio fare di due Odi del Gargallo con due del Colonnetti, vedrai tu medesimo come questi sia vincitore di grandissima lunga. Scelgo di quelle, ove Orazio, quasi dimenticando di vivere sotto Augusto, si fa panegirista della spenta repubblica, e spiega più liberamente le ali del suo poetico ingegno.

Ode xii. del lib. i.
GARGALLO COLONNETTI

Qual prode, o eroe prendi a lodar, o Clio,
Con lira o flauto acuto? Omai con lieta
Voce l’eco qual nome, e di qual Dio
Fia che ripeta

Qual grande, qual eroe prendi, o qual Dio
Con lira o flauto a celebrar, cui lieta
Del suono imitatrice, o bella Clio,
L’Eco ripeta,

La strofa del Colonnetti è felicissima. In quella del Gargallo è somma l’asprità del primo verso per le molte elisioni e lo accozzamento di quattro erre, che lo fanno ringhiar come cane. Il qual difetto noto una sola volta per