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cittadino abbia mai demeritato scientemente del suo paese (sarebbe calunnia l’asserirlo), ma la sua politica non era quella di cui avea d’uopo la Sicilia, e l’esser troppo lungo tempo rimasto al potere ne accrebbe forse le avverse conseguenze. Sarebbe anche da dire sul conto del Settimo com’egli abbia talora chiamato a far parte del gabinetto, alla caduta di alcuni ministri, quei tali che con la loro opposizione gli avevan balzali di seggio; partito di transazione è vero, ma sempre nocivo in ogni epoca e in ogni caso, al quale un governo non deve assolutamente ricorrere, ammenochè poi non voglia cambiar del lutto e da cima a fondo il sistema, ciò che invero non si fece punto in Sicilia.

L’isola di Malta fu la terra d’esilio che raccolse l’illustre emigrato; quivi egli è rimasto per quasi dodici anni circondato dall’amore de’ suoi compatrioti del pari esuli, e confortato dalla ferma fiducia, che in lui non è mai fallita, della definitiva liberazione della patria terra. Quantunque travagliato dai malori della vecchiaia, ogni grido di libertà, ogni sussulto del popolo siciliano, che di quando in quando i telegrafi ed i giornali annunziavano al mondo, lo han fatto trasalire ed hanno accresciuto nel suo cuore l’antica speranza. Un giorno gli si disse che Palermo aveva dato il segnale di nuova insurrezione. Sarà vero? Sarà possibile?

— Garibaldi è sbarcato a Marsala. Fu la risposta ch’ei ricevette. Calatafimi, Palermo, Milazzo convertirono la speranza in deliziosa realtà. In un istante di ebbrezza ei volle correre e partire alla volta di Sicilia; ma il pondo degli anni ed una malattia che da qualche tempo il travagliava l’obbligarono a protrarre il dì del ritorno.

Nella solitudine del suo ritiro, non più esilio oggidì, sono venuti a trovarlo gli onori compartitigli dalla patria risorta. Gli pervenne prima una lettera di Garibaldi, nella quale l’eroe lo invitava a rimpatriare, aggiungendo con isquisitezza di sentimento che la Sicilia libera sentiva ancora un vuoto per l’assenza del proprio Padre; ebbe in seguito una lettera del conte di Cavour, che del pari lo invitava a recarsi in Italia,