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«Mi vennero allora per le mani due volumi del Primato degli Italiani di Gioberti, le Speranze d’Italia di Cesare Balbo, nomi che mi erano adatto nuovi. Conosceva le pubblicazioni di Giuseppe Mazzini.

«Questi tre scrittori, a cui più tardi s’aggiunse Massimo d’Azeglio e pochi altri, formavano il nucleo dei pensatori che per vie diverse tendevano a creare in Italia un centro d’opinioni, intorno a cui raccogliessero le masse ondeggianti degl’Italiani.

«Divorai con passione tutti quei libri e restai sbalordito come, malgrado tanta magnificenza di stile, di dottrina, di eloquenza, di patriotismo, nessuno di tutti questi illustri uomini, a mio credere, avesse dato nel segno. Mi trovai profondamente umiliato. Io non potea supporre che tutti traviassero e che io solo vedessi chiaro in tanta anarchia di tendenze, in tanto antagonismo d’opinioni.

«Io non concordava con Mazzini, che aspirava all’unità assoluta e immediata d’Italia col sistema repubblicano. — Io pensava che bisognava andare all’unità passando prima pel sistema dell’unificazione progressiva, il cui maximum fissava in mia mente a due Italie in capo alle due dinastie più potenti, con Roma governata municipalmente nel mezzo. All’unità assoluta penserebbero i figli.

«Io dissentiva da Gioberti in ciò, che, reputando il passato un’istituzione esclusivamente cattolica, io non volea che si frammischiasse al nostro risorgimento. Io faceva astrazione dal papato; egli lo proponea come perno del nostro futuro edifizio. Egli volea confederazione; io volea la massima unificazione possibile. V’era quasi tanta divergenza fra il mio modo d’esaminar la questione e quello di Gioberti, quanto tra me e Mazzini.

«Cesare Balbo per giungere alla nostra indipendenza facea buon mercato provvisorio della libertà, quantunque fosse essenzialmente liberale; volea confederazione, credea all’onnipotenza del municipalismo; io offriva rimedio unico la libertà: ben inteso senza confederazione, ma con moto successivo unificante della monarchia.