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dini si recò in Brescia, da deve passò più tardi colla propria divisione a Bologna ove assunse il comando del 4.° corpo d’armata.

Tuttavia l’audace impresa di Garibaldi in Sicilia e quindi nel Napoletano, incominciata coi più prosperi auspicî e continuata con inesperati successi, era, per avventura, per pericolare, avvegnachè i volontarî che si erano fatti a seguire l’ardito condottiero si trovassero giunti dinanzi a Capua, città fortissimamente munita, ed entro la quale e alle spalle trovavasi riunito il nerbo dell’armata borbonica.

Le aspirazioni chiaramente espresse dalle popolazioni dell’Italia Meridionale e la necessità imperiosa di terminare al più presto la guerra, onde più presto le divise parti della penisola formassero quel tutto omogeneo e compatto che da sì lungo tempo era il sogno e il desiderio d’ogni leale e caldo italiano, indussero il conte di Cavour a decretare la spedizione delle Marche e dell’Umbria, che doveva liberare le popolazioni di quelle floride provincie dall’esoso dominio clericale, e permettere ai nostri valorosi soldati di recarsi in soccorso delle schiere di Garibaldi.

Questa nobile impresa fu affidata ai 4.° e 5.° corpi d’armata, comandata, il 1.° dal generale Cialdini, che da Rimini doveva entrare nelle Marche, il 2.° dal generale Della Rocca, che doveva da Arezzo penetrare nell’Umbria. Il comando supremo di tutta la spedizione era affidato al generale Fanti, in allora ministro della guerra.

Non crediamo dispiacere al lettore riproducendo il conciso, ma energico ordine del giorno, emesso da Cialdini, al momento d’entrare in campagna.

«Soldati del 4.° corpo d’armata!

«Vi conduco contro una masnada di briachi stranieri che sete d’oro e vaghezza di saccheggio trasse nei nostri paesi.

«Combattete, disperdete inesorabilmente quei compri sicarî, e per mano vostra sentano l’ira d’un popolo che vuole la sua nazionalità e la sua indipendenza.