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«L’istoria dirà le fatiche e i disagi che patiste, l’abnegazione, la costanza e il valore che dimostraste; la storia narrerà i giganteschi lavori da voi eseguiti in si breve tempo. Il Re e la patria applaudono al vostro trionfo, il Re e la patria vi ringraziano.

«Soldati!

«Noi combattemmo contro Italiani; e fu questo necessario, ma doloroso officio. Epperciò non potrei invitarvi a dimostrazioni di gioja, non potrei invitarvi agl’insultanti tripudî del vincitore.

«Stimo più degno di voi e di me il radunarvi quest’oggi sull’istmo e sotto le mura di Gaeta dove verrà celebrata una gran messa funebre. Là pregheremo pace ai prodi che durante questo memorabile assedio perirono combattendo tanto nelle nostre linee, quanto sui baluardi nemici.

«La morte copre di un mesto velo le discordie umane, e gli estinti son tutti uguali agli occhi dei generosi.

«Le ire nostre, d’altronde, non sanno sopravvivere alla pugna.

«Il soldato di Vittorio Emmanuele combatte e perdona!»

La guerra del napoletano poteva di quel momento dirsi ultimata. Rimaneva sola la cittadella di Messina, entro la quale, a comandante supremo di essa, stava chiuso il vecchio generale Fergola, che, come già abbiamo avuto luogo di dire, aveva per precedenti patti stabilito di non offendere la città, purchè gli venissero somministrati i viveri necessarî per l’alimento della guarnigione.

Questi all’annuncio della resa di Gaeta, le cui condizioni portavano espressamente che la cittadella di Messina, e quella di Civitella del Tronto dovessero pur esse operare la loro sottomissione, rifiutò non pertanto di cedere e si dispose ad un’ostinata resistenza.

Si fu allora che il generale Cialdini ricevette dal Re l’ordine di recarsi a comandare le truppe che si disponevano a stringer d’assedio quella fortezza.

Il Fergola, vedendo operare sbarchi d’artiglierie e