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dei Ministri in quell’epoca di crisi, se un rimprovero gli si potesse pur muovere quello solo sarebbe di non aver creduto ai esporsi con energia al trasmodare di un partito, che dovea più tardi occasionare in parte gravi lutti alla patria.

Quando scoppiò a Firenze il movimento irresistibile contro l’oppressione guerrazziana il marchese Gino fu messo alla testa del Governo provvisorio, che resse in quei giorni luttuosi, in cui già l’Austriaco penetrava da ogni lato nel Granducato, la pubblica cosa.

Il Capponi, accettando a quell’ora quell’ingratissimo incarico, sperava egli pure di valere a scongiurare il gravissimo pericolo che soprastava alla Toscana dell’occupazione straniera e dell’abolizione dello Statuto.

Può egli asserirsi dalle persone di buona fede che quella speranza fosse del tutto illusoria? Non si ricorda forse che i granduchi di Lorena avevano fino a quell’ora goduta meritamente la reputazione d’essere umanissimi principi quanto illuminati e civilizzatori? Poteva credersi che l’erede dei Leopoldo I e dei Ferdinando III, sotto il regno dei quali la Toscana era apparsa uno Stato modello e dei più felici degenerasse tanto dal padre e dagli avi, fallisse alle tradizioni d’indipendenza dall’Austria, ch’essi gli avevan lasciate?

I profeti dopo i fatti compiuti hanno un bel gridare ed anatemizzare; le persone sincere e ragionevoli che conoscono la situazione della Toscana nel 1849 non faranno certo un torto a Gino Capponi, come non lo fanno ai Ricasoli, ai Peruzzi e a tanti altri chiarissimi cittadini di aver favorita la restaurazione del Governo granducale con lo scopo d’impedire che l’Austria avesse un pretesto ad invadere, e il Granduca un pretesto a ritirare le franchigie costituzionali accordate nel 1848.

Non appena Leopoldo II ebbe chiarite le proprie intenzioni, che il Capponi, il Ridolfi, il Ricasoli, il Peruzzi, ed altri onestissimi ed insigni cittadini ai quali il Granduca aveva inviata una medaglia onorifica e commemorativa della restaurazione, col respingerla palesarono apertamente, distaccarsi in tutto e per tutto, dalla politica Granducale.