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quali il nominar soltanto l’Italia e Vittorio Emanuele era delitto capitale in Sicilia. Non parleremo neppure delle pubbliche dimostrazioni ogniqualvolta una squadra francese o sarda, spesso un sol legno da guerra, toccava Messina. Tali dimostrazioni erano quasi che sempre provocate per opera della famiglia Lella, che invitava gli Stali maggiori di quelle squadre o di quei legni a banchetti o a balli in sua casa. Ne fremeva il Maniscalco, che ben comprendeva lo scopo, ma non ardiva provocare il Piemonte con l’arresto del Lella che aveva uso nomare il Boncompagni di Messina, alludendo al contegno serbato da questo diplomatico in Firenze all’epoca della rivoluzione del 27 aprile 1859.

Tanti e sì segnalati servigi resi alla causa nazionale, non potevano sfuggire ai vigili sguardi di quel sommo ministro che Italia piange tuttora, quindi il decorava della croce di cavaliere dei santi Maurizio e Lazzaro, accompagnandone l’invio con lettera delle più lusinghiere, e quando poi seguita l’annessione dell’Italia meridionale l’augusto re nominava i nuovi senatori del regno, il Lella fu meritamente compreso in quel numero.





Nato in Napoli da nobili genitori il 27 marzo 1797, studiò nel collegio dei Cinesi dapprima, quindi in quello di Maddaloni, apprendendo poscia legge presso il professore Loreto Abruzzese. Fatte pratiche, per essere avvocato, sotto insigni maestri, intraprese con successo la carriera del foro presso il tribunale di provincia di Terra di Lavoro residente in santa Maria di Capua, e dopo aver ottenute nel breve spazio di due mesi sei assoluzioni da pena capitale, per volere sovrano gli fu aperta una carica nella magistratura. L’età giovanile tuttavia del nostro protagonista fece ch’ei non potesse venir nominato che giudice, con promessa tuttavia di pronto avanzamento.

Entrato, malgrado il favore di cui gli era largo il