Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/115

Da Wikisource.

di teocrito 105

     A casa tua. Chè Amor sevente detta
     Vampa maggior di Lipareo Vulcano.
Intendi, o Luna, onde il mio foco è nato.
     E ingombre di furor da’ chiusi alberghi
     Mette in fuga le vergini e le spose
     Da’ maritali ancor tepidi letti.
     Tal disse. Io troppo credula per mano
     Il presi, e l’un con l’altro accesi in volto
     Feamo un dolce susurro; e per non farti
     Troppo indugio parlando, amica Luna,
     Venuti siam de’ desir nostri al colmo,
     Nè fino a’ dì passati egli non s’ebbe
     A doler mai di me, nè io di lui.
     Ma giunta m’è la madre di Filista
     Mia sonatrice, e di Melisso in casa
     Staman nell’ora, che correano al Cielo
     I destrier dall’Oceán recanti
     La bella Aurora dalle rosee braccia.
     Infra molte altre cose ella m’ha detto,
     Che Delfi è innamorato, ma se amore
     Presel di donna, o d’uom, non è ben certa.
     Sa, ch’egli mesce assai vin pretto in grazia
     Dell’amor suo, poi ratto fugge, e dice,
     Che a fregiar va di serti il caro albergo.
     Così l’amica; e quel, che ha detto, è il vero
     Perch’ei solea tre volte o quattro il giorno
     Da me venire, e qui posar sovente
     Il dorìese utello. Or è trascorso
     Il dodicesmo dì, ch’io più nol veggio.
     Me dunque obblìa per dilettarsi altrove?
     Or’io co’ filtri moverògli assalto;
     E s’ei m’offende ancor, giuro alle Parche,
     Che a battere n’andrà le Stigie porte;
     Sì fier veneni in cesta aver mi vanto
     Che da un Assiro viandante appresi.
     Ma tu, Reina augusta, or lieta affretta