A casa tua. Chè Amor sevente detta
Vampa maggior di Lipareo Vulcano.
Intendi, o Luna, onde il mio foco è nato.
E ingombre di furor da’ chiusi alberghi
Mette in fuga le vergini e le spose
Da’ maritali ancor tepidi letti.
Tal disse. Io troppo credula per mano
Il presi, e l’un con l’altro accesi in volto
Feamo un dolce susurro; e per non farti
Troppo indugio parlando, amica Luna,
Venuti siam de’ desir nostri al colmo,
Nè fino a’ dì passati egli non s’ebbe
A doler mai di me, nè io di lui.
Ma giunta m’è la madre di Filista
Mia sonatrice, e di Melisso in casa
Staman nell’ora, che correano al Cielo
I destrier dall’Oceán recanti
La bella Aurora dalle rosee braccia.
Infra molte altre cose ella m’ha detto,
Che Delfi è innamorato, ma se amore
Presel di donna, o d’uom, non è ben certa.
Sa, ch’egli mesce assai vin pretto in grazia
Dell’amor suo, poi ratto fugge, e dice,
Che a fregiar va di serti il caro albergo.
Così l’amica; e quel, che ha detto, è il vero
Perch’ei solea tre volte o quattro il giorno
Da me venire, e qui posar sovente
Il dorìese utello. Or è trascorso
Il dodicesmo dì, ch’io più nol veggio.
Me dunque obblìa per dilettarsi altrove?
Or’io co’ filtri moverògli assalto;
E s’ei m’offende ancor, giuro alle Parche,
Che a battere n’andrà le Stigie porte;
Sì fier veneni in cesta aver mi vanto
Che da un Assiro viandante appresi.
Ma tu, Reina augusta, or lieta affretta