Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/194

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     Di puro zolfo in pria si purghi, e poscia
     Acqua netta a sal mista (com’è rito)
     Di verde ramuscel cinta s’asperga.
     Un porco maschio infin sacrificate
     Al gran Giove sovran, perchè sovrani
     Siate ognor su i nemici. In questi accenti
     Parlò Tiresia, e benchè d’anni grave
     Tornò spedito alla sua seggia eburna.
     Alcide poi d’Anfitrione Argivo
     Chiamato figlio, qual novella pianta
     In bel giardino, al fianco della madre
     Era educato. Il vecchio Lino figlio
     D’Apollo, industre e vigilante eroe,
     Erudì nelle lettere il fanciullo:
     Eurito, che dai padri ampie campagne
     Redato avea, l’instrusse a tender l’arco
     E a dirizzar gli strali: e cantor fello
     Eumolpo Filammonide, e addestrógli
     Su cetera di busso ambo le mani.
     In quante guise i flessuosi Argivi
     Seco. lottando intralciansi le gambe,
     E quante ancora i pugili tremendi
     Co’ cesti, e quante i lottator trovaro
     A terra chini maestrie dell’arte,
     Tutte imparò dal figlio di Mercurio
     Dal Fanopeo Arpalico, la faccia
     Di cui pugnante in lizza alcun non v’era
     Che pur da lunge a sostener bastasse:
     Tal sopracciglio avea nel truce aspetto.
     Il trar cavalli al cocchio giunti in corso
     E alla meta piegar sicuri, e illesi
     Gli assi di rota insegnò pure al figlio
     Con dolce cura Anfitrion medesmo,
     Che molti in Argo di cavalli altrice
     Ricchi premj portò dai pronti agoni;
     E i non mai rotti cocchi, ov’ei salìa,