Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/198

Da Wikisource.

     Poi ben duro è scoprir la mente altrui.
     Il loro avvicinarsi i can da lunge
     Sentir ben tosto ed al fiutar de’ corpi,
     E al calpestio de’ piè. Con gran latrati
     Chi di qua, chi di là si mosser contro
     D’Anfitrione al figlio; e d’altra parte
     Col guattir vano fean carezze al veglio.
     Questi dal suolo a pena i sassi alzati
     Metteagli in fuga, e con le truci grida
     Tutti gli minacciava, e tacer fea,
     Godendo in cor però, che in sua distanza
     Guardia fessero a’ chiusi; e poi sì disse:
     O cieli! che animal gl’Iddii possenti
     Locato han fra’ mortali, e come accorto!
     E s’ei pur anco intelligenza avesse,
     Onde saper con chi crucciarsi dee,
     E con chi no, già nessun’altra belva
     Con esso gareggiar poria di pregio.
     Or pazzamente s’indispetta, e infuria.
Disse; e nel chiuso a seder ratti andaro.
     Intanto vêr l’occaso il Sol volgea
     I suoi destrier, menando a sera il giorno.
     Tornår da’ paschi a’ lor ovili, e stalle
     Le pingui agnelle, e l’une dopo l’altre
     Vacche infinite sopraggiunser, come
     Si veggono pel cielo oltre sospinte
     Dal furor d’austro o borea acquose nubi,
     Che in aria non han numero nè fine;
     Poichè tante ne aggruppa con le prime
     L’urto del vento, e l’une investon l’altre:
     Tanti di vacche ognor seguiano armenti.
     Ogni campo era pieno ed ogni via
     Del bestiame che andava, e i pingui campi
     Rispondevano intorno a’ lor muggiti.
     Tosto le stalle empieronsi di buoi
     Dai piè ritorti, e negli ovili entraro