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Più sventurato, e in più disastri involto.
15Ei coll’arco che diegli Apollo stesso,
Padre infelice, e con gli atroci strali
Di qualche Parca o Furia i figli ancise,
E il caro spirto ne divese, acceso
Di furor per la casa, e pien di stragi.
20Io con quest’occhi miei perir dal Padre
(Chi l’avria pur sognato!) ahimè! gli vidi;
Nè al lungo chiamar madre io lor potea
Nel sovrastante danno offrir soccorso.
Ma com’aquila piagne i moribondi
25Figli, che ancor pulcin tra dense frasche
Crud’angue ingoja, e la pietosa madre
Svolazza intorno a lor, con strida acute,
Nè può i figli giovar per la paura
D’avvicinarsi al dispieta mostro;
30Tal io madre infelice lagrimando
L’amata prole qua e là scorreo
Co’ furibondi piè tutta la casa.
Ah! foss’io pur co’ figli morta o Cintia,
Che sulle molli donne hai tanto impero;
35E giacess’io da venenato strale
Punta nel cor. I genitor piangendo
Con le dilette man non senza onori
Posti ci avrìan sul comun rogo, e l’ossa
Di tutti insieme in urna d’or raccolte
40Avrìan colà riposte, ov’io son nata.
Or essi in Tebe di cavalli altrice
Albergo fanno, e dell’aonio campo
Aran le pingui glebe; io qui in Tirinto
Aspra città di Giuno ho il cor d’imnense
45Doglie conquiso ognor; nè il pianto ha tregua.
Sol breve tempo ho in casa innanzi agli occhi
Lo sposo, a cui di gran fatiche il pondo
Sta per mare, e per terra apparecchiato.
E ben nel petto egli ha di sasso, o ferro