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I mortiferi sdegni di Vulcano.
Ei come scudo ognor dinanzi al corpo
Movea la zappa, e qua e là cogli occhi
125In guardia stava per non esser preso
Dal fiero incendio. Il generoso Ifiele
(Tal mi parea) per apprestargli aíta
Move, nè giunto ancor stramazza in terra;
Nè rilevar potendosi giacea
130Immobile qual veglio infievolito,
Cui suo malgrado a ripiegarsi sforza
L’inamabil vecchiezza, e fitto al suolo
Riman finchè col braccio nol rilevi
Un passeggiero a riverenza mosso
135Dal senil fregio della bianca barba.
Tal si volgea l’agitator di scudo
Ificle giù per terra, ed io piangea
In rimirando i miei smarriti figli:
Finchè dagli occhi mi si scosse il dolce
140Sonno, e tosto apparì la lucid’alba.
Tali mi sbigottîr sogni la mente
Ben tutta notte, o cara. Ah! questi lunge
Da nostra casa ad Euristéo sul capo
Si rivolgano tutti; e sia profeta
145Il mio desir, nè lo deluda il Cielo.
Idillio V
Qualora il vento l’onde glauche sferza
Placidamente, il pauroso core
Sento instigarsi, nè la Musa allora
Emmi gradita, e troppo più m’incanta
5Il mar tranquillo. Ma poichè rimbomba
Il pelago albeggiante, e lo spumoso
Seno s’incurva, e in furor vanno i flutti,
Agli arbori, e alla terra i lumi giro,
E fuggo il mar. La terra allor mi è fida,