Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/59

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E di Callisto Licaonia guardo
     L’occaso, e sono di Boote duce,
     Che a tuffarsi nel mar sempre è il più tardo.
Me quando tace la diurna luce
     Premon vestigi d’immortal corona,
     E al mar la mattutina ora riduce.
O di Ramnunte vergine perdona,
     Se il vero io son di favellare amica
     Liberamente come in cuor mi suona,
Esser dovessi pur dalla nemica
     Lingua degli astri amaramente punta,
     Non starò per temenza, ch’io non dica:
Tanto non m’allegrò l’essere assunta
     Alla volta del ciel, quanto m’increbbe
     Dal capo di colei starmi disgiunta,
La qual nel tempo, che laggiù s’accrebbe
     Verginella con me, tanti mi diede
     Soavi odor quantunque altra non ebbe.
O voi, che al dì delle giogali tede
     Siete venute innamorate spose
     Con saldo petto alla giurata fede,
Il casto vel delle secrete cose
     Non rimovete pria, che porte m’abbia
     Vostra pudica man mirre odorose;
(Di colei, ch’ebbe le spergiure labbia
     Contaminate d’inconcesso amore,
     I mal proferti don beva la sabbia,
Rifiuto i don di temerato core;)
     Se Concordia con voi sempre soggiorni,
     E con voi vegna eternamente Amore.
Tu donna allor, che negli usati giorni
     Supplicherai a Venere marina,
     Fa con larghezze tue che a te ritorni.
Piaccia agli Dei, ch’io della mia regina
     Al bel capo gentil torni a far velo;
     Erigone ad Arturo arda vicina: 9
Non fa per me di rimanere in cielo.