Pagina:Carlo Piana - Open source, software libero e altre libertà.pdf/24

Da Wikisource.
24 Open source, software libero e altre libertà

ca, perché è quasi impossibile sapere quali brevetti siano rilevanti per un dato ambito. In genere si può solo escludere che un limitato o definito numero di brevetti sia invocabile di giudizio, ma non che non esista un brevetto da qualche parte che possa essere vantato come diritto di privativa che fondi una pretesa. È come avere cento lucchetti su una porta al buio: trovarne e aprirne novantanove non è sufficiente ad aprire la porta, come prendere licenza per novantanove brevetti non è sufficiente per assicurare l’apertura dell’oggetto intellettuale (tipicamente software) che ci interessa.

Altri diritti di privativa, invece, sono del tutto irrilevanti rispetto alla creazione di un common intellettuale. È il caso dei marchi, che ben difficilmente possono essere d’intralcio ai liberi utilizzi di un bene intellettuale (non che non vi sia un uso abominevole dei marchi, ma solitamente ogni abuso è diretto verso altri marchi o segni distintivi).

Il copyleft

Inoltre, le licenze sono sì strumenti legali che concedono diritti, ma lo fanno in molti casi con alcune condizioni. Condizioni diverse possono essere incompatibili tra loro, creando così una frammentazione dei commons, rendendoli reciprocamente non mescolabili tra loro, o mescolabili in una sola direzione. È questo il caso del cosiddetto “copyleft”, concetto misconosciuto ai più e che è di fondamentale importanza per chi si occupa di openness. Il copyleft, in breve, consiste in una serie di condizioni poste dal titolare dei diritti come contraltare della licenza, per fare in modo che ciò che è stato rilasciato come li-