Pagina:Catullo e Lesbia.djvu/144

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138 di alcuni traduttori di catullo.


Saffo dice:

Φαίνεταί μοι κῆνος ἴσος θεοῖσιν
ἔμμεν ὠνὴρ, ὄστις ἐναντίος τοι
ἰσδάνει, καὶ πλασίον ἀδὺ φωνευ-
                                        σας ὐπακούει.
καὶ γελάϊς ἰμερόεν.

E Catullo con fedeltà e felicità uguale traduce:

Ille mi par esse Deo videtur,
Ille, si fas est, superare divos
Qui sedens adversus identidem te
                                        Spectat et audit
Dulce ridentem.


Tutta la bellezza di questi versi risulta dalla simultaneità e dal concentramento delle impressioni del vedere e dell’udire sull’animo dello spettatore. L’animo dell’amante rimane assorbito dalla vista di lei; amore, come direbbe Dante, caccia tutti gli spiriti dalle loro possessioni e dai loro strumenti, e si asside egli solo, padrone e signore: è la beatitudine di tutti i sensi riconcentrati in una sola impressione prodotta dalla parola e dal sorriso della donna amata; e non veramente dal sorriso e dalla parola, ma da lei che dolce parla e dolce ride, come disse Petrarca; da lei unico segno, unico obietto, unico punto, m cui si confondono tutti i raggi dell’anima innamorata. Per questa ragione il te spectat et audit dulce ridentem di Catullo, a me pare che non valga meno della parola di Saffo a rendere tutta la bellezza di questa situazione, benché il verbo audire abbia meno valore d’υπακούειν, che vuol dire ascoltare con attenzione, ita audire ut alter alteri se quasi accommodet, Spectat et audit però costruiti a questo modo danno come una sola impressione, confondono i due