Pagina:Catullo e Lesbia.djvu/319

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annotazioni. 313

chi non ha amato giammai può dire soltanto il contrario.

Quando l’amore ha poste radici profonde nel cuore per isbarbicarlo bisogna portar via un brano di questo: sradica una pianta qualunque, porterà con sè la sua zolla. Si ha un bel dire col nostro poeta:

Hoc facies, sive id non potes, sive potes.

Si può riuscire a vincere; ma qual vittoria! S’è vero che l’amore sia malattia dell’anima, è anche vero che, succeduta la crisi, la convalescenza dura per tutta la vita. Il povero Catullo sa tutto questo; perde la fede nelle proprie forze, e si rivolge agli Dei. Gli Dei, poveretti, son destinati a far da comodino ai mortali. Non hai più forza di mal fare? Pentiti bravamente e rivolgiti al cielo:

Sei impotente a resistere a un nemico, a una sventura, a un pericolo? Alza le palme, e prega.... chi? Non lo sai neppur tu, ma non importa: la preghiera è la resistenza estrema del debole: a ciò che l’uomo non può, si dà il nome di Dio.


Pag. 224.          Eripite hanc pestem, pemiciemque mihi.

Così chiama l’insano amore per Lesbia cagione d’ogni suo danno e rovina; chè pestis dissero i Latini ogni male; onde Sallustio appellò i Romani la peste del

Rapisardi 27