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lesbia.

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conoscenze e quella forza d’animo, che le permettono di lottare senza troppo manifesta inferiorità;1 ma qual parte attiva ed importante ebbero mai in Roma le donne ai tempi della repubblica?

Quale autorità potevano avere in famiglia, esse che venivano confuse fra le cose di mancipazione insieme al campo, alla casa, agli animali, qui dorso collove domantur?2 Qual parte nelle pubbliche faccende, esse, a cui s’imputava a colpa la curiosità di sapere che leggi si discutessero in senato, e che turbolenze agitassero il fôro?3 Nè vale il ricordare gli esempi di Clelia e di Lucrezia, di Veturia, di Cornelia e di qualche altra, le cui famose azioni non hanno niente che fare con la vita pubblica, e doventano pallidissime innanzi alle splendide virtù delle donne di Messina e di Suli. Che, se qualcosa in esse è da lodare, è soltanto quell’istinto generoso e gagliardo, che la tirannìa della legge non avea potuto del tutto domare.


III.


Le donne romane erano proprio alle strette. Da un canto un’educazione, che le metteva a paro con gli uomini; dall’altro una legislazione crudele, che le trattava come proprietà. Era inevitabile una rottura. Mossero in opera ogni lor ferro; la forza e l’astuzia ad un tempo.

  1. «Les femmes à Rome:» Revue des deux Mondes, 1° dècembre 1873.
  2. Gaii, Instit. com., 2. Ortolan, loc. cit.
  3. Tito Livio, lib. XXXIV, 2.