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[1376-1378] Regole del trattare e conversare 471





§ 62.

Regole del trattare e conversare




Miracolo di cortesia e di modestia doveva essere quella Bearice Portinari, di cui Dante diceva:

1390.   Tanto gentile e tanto onesta pare
     La donna mia, quand’ella altrui saluta,
     Ch’ogne lingua deven tremando muta.
     E li occhi no l’ardiscon di guardare.

principio del più mirabile fra i sonetti di Dante (Vita Nuova, § XXVI, son. XV), che lo scrisse quando appena potea contare cinque lustri d’età. Sopra ogni altra cosa doveva essere armoniosa la voce di lei, e gentile il suo dire, se il poeta medesimo in un altro sonetto (Vita Nuova, § XXI) scriveva:

1391.   Ogni dolcezza, ogni pensiero umile
     Nasce nel core a chi parlar la sente;
     Ond’è beato chi prima la vide.

Quanto è lontana questa gentilezza e amabilità naturale dal convenzionalismo mondano, da quella falsa e artificiosa urbanità sì facile a degenerare in svenevolezza, che un altro poeta prese a beffare nei versi:

1392.   Stretto per l’andito
     Sfila il bon ton;
     Si stroppia, e brontola
     Pardon, pardon.

(Giusti, Il ballo, str. 13).

Il Giusti medesimo in altra poesia così amaramente ragiona intorno alle ipocrisie sociali del conversare, rimpiangendo la franchezza dell’età giovanile, quando studenti con studenti si trattano alla buona col tu, anche senza essersi mai veduti prima.