Pagina:Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu/156

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128 capitolo vi.


Il Giordani, scrivendo il 25 giugno 1819 al Brighenti a Bologna, gli domandava che cosa quei letterati pensassero delle canzoni; e sentendo che a qualcuno non piacevano, si meravigliava e si indispettiva. «Voi dite benissimo, che si mandi a far.... la letteratura; ma che volete che altro faccia quel povero diavolo in quell’eremo, e in quella miserissima tirannia domestica? Quell’infelice creperà : ma, se per disgrazia non muore, ricordatevi quel che vi dico io, che non si parlerà più di nessun ingegno vigente in Italia: egli è d’una grandezza smisurata, sjaventevole.... Oh in Italia nascono ingegni incredibili: ma guai a quelli che ci nascono!»1

Il Giordani era sotto la dolorosa impressone delle tristi notizie ricevute dall’amico, le cui coidizioni sì di salute sì d’animo in quell’anno 1819 eano molto peggiorate. La visita del Giordani e la pubblicazione delle canzoni avevano acuito il desiderio, già così vivo e angoscioso, di uscire ad ogni costo di Recanati. Recanati era la causa prima della sua infelicità e 'impedimento a conseguire quelli che pr lui erano i soli beni della vita. E poichè i tentatii fatti a piegare il padre avevano fruttato unicamente derisioni, non restava che rassegnarsi, o ricorrere ai mezzi più disperati. E rassegnarsi Giacomo non sapeva. Dal marzo si era aggiunta ad aggravare la sua condizione una malattia d’occhi, che gli impedia, non solamente il leggere, ma qualsiasi occuparono mentale; passava le giornate sedendo con le brada in croce, o passeggiando per le stanze: aveva appen forza di raccogliere in carta, perchè non gli cadesero dalla me-


  1. Epistoario in Giordani, Opere, vol. V, pag. 23, 24.