Pagina:Chiarini - Vita di Giacomo Leopardi.djvu/464

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428 CAPITOLO XXI. pensava : — Ma ciò varrà forse a far diventare gli uomini migliori di quello clie sono? meno egoisti, meno prepotenti, meno crudeli? La virtù vera; la modestia, la fedeltà, la giustizia non saranno concul- cate sempre e dovunque? I protervi, i frodolenti, i mediocri non regneranno sempre dappertutto ? I forti non opprimeranno sempre i deboli ? I miserabili non saranno sempre schiavi de' ricchi e de' potenti ? I po- poli cesseranno forse dal farsi guerra gli uni con gli altri? Quando gli uomini potranno -vestirsi di vesti più morbide ed eleganti, potranno fornire le loro case di mobili più comodi e più leggiadri, potranno cor- rere in un giorno da Parigi a Londra, da Londra a Liverpool, quando avranno meglio illuminate le piazze e le strade delle loro città, saranno perciò più felici ? E il risorgimento d'Italia, ch'io sognai negli anni miei più giovani, e pel quale mi sarebbe parso bello e caro dare il sangue e la vita, è egli possibile con una generazione come questa ? — Simili pensieri at- traversavano la mente dell'infelice poeta, mentre in- torno a lui si parlava calorosamente di civiltà, di progresso, mentre le più ardite speranze accendevano le nienti ed i cuori. Di quei tristi pensieri si formò la Palinodia; la quale, come ho detto, fu composta a Napoli, fra la primavera e l'estate del 1835. Io non so se vera- mente qualcuno desse al Leopardi, com'egli dice, il consiglio, ammonimento, di non corcare più mate- ria al canto dentro di so, di non cantare più i suoi affetti, ma i bisogni e lo speranze del secolo. Questo consiglio, HO nessuno propriamente glie lo diede, egli lo sentì circolaro nell'aria dintorno a 8(\ se lo sentì dare da nessuno e da tutti. Nella poesia lo mise sulle labbra di uno degli scrittori della Antologia più av- versi alle sue idee, che designò coi noti versi: Un già de' tuoi, lodato Gino, un franco Di poetar maestro, anzi di tutto