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la fanciullezza e l'adolescenza 33

dalla direzione di lui. Ma che questa direzione almeno in parto ci fu fino al 1812 è fuori di dubbio.

Mestica dice che il Sanchini, come il Torres, non diede al fanciullo più che una elementare e volgarissima istruzione; che verso il 1811 gli fece studiare un po’ di logica; e che poi, non sapendo che cosa più insegnargli, se ne andò di casa Leopardi, seguitando a dimorare in Recanati, dove morì nel 1835.1 Risulta invece che il buon prete marchigiano insegnò ai fanciulli Leopardi, sotto la direzione del padre, la grammatica latina, la retorica, la filosofia, gli elementi delle scienze fìsiche e naturali, e a Giacomo anche un po’ di teologia.

Il Sanchini, senza essere un’aquila, era un discreto insegnante di latino, quale portavano i tempi; ed aveva una certa larghezza di cultura, attestata dai programmi ch’egli stesso preparava pei saggi di studio dei suoi alunni.

Non è senza interesse leggere ciò che circa gli studi de’suoi figliuoli Monaldo scriveva al Brighenti nel 1820, quando cioè s’era accorto che Giacomo aveva rotto i cancelli della educazione paterna, che nei pensieri, nei sentimenti, nelle opinioni, non era più il figlio e l’allievo del padre suo, ma il figlio e l’allievo di sé stesso. «Lo sconvolgimento fatale della ragione umana, scriveva Monaldo, che ha disonorata la nostra età, mi fece ravvisare malcauto l’affidare i figliuoli ad estera educazione, e l’afletto mio sviscerato non mi permetteva allontanarli da me. Li ho educati io medesimo, e li ho fatti studiare in casa mia quanto meglio ho saputo e potuto, ho sacrificata per essi tutta la mia gioventù; mi sono fatto il compagno dei loro trastulli, l’emulo dei loro studi, e niente ho lasciato di quanto poteva renderli contenti e grati.»2

  1. Mestica, Manuale della letteratura italiana del secolo decinonono, vol. II, parte I, pag. 2.
  2. Autobiografia di Monaldo Leopardi (Appendice), pag. 298.