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tutte le furie il cardinale Gizzi e monsignore Marini, ancora governatore di Roma a quel tempo, il quale anzi fece arrestare un giovinetto venditore di quell’opuscolo, e punì con una multa di cento scudi il tipografo Natali, che quell’opuscolo aveva pubblicato.


    pra di quelli, e trucidarli con la ferocia di chi sconta secoli di umiliazione. Ne fremette l’umanità; e poichè da un pezzo l’Austria era il capro emissario di tutti i misfatti in Germania, non meno che in Italia, si pretese avesse ella eccitato questi vulghi e pagato a tanto per testa l’orrido macello. Essa se ne scagionò: frenò con la legge marziale il paese», ecc. (C. Cantù, Gli ultimi trent’anni, citati, § 2, pag. 32 e 33). Con parole diverse, ma con maggiore audacia, cerca di difendere la diletta sua Austria con detrimento sempre maggiore della verità storica, il Cantù nella Cronistoria, dove (voi. II, cap. XXXVIII, pag. 726) scrive: Tali concetti fermentarono nel regno di Galizia e Lodomiria, che è la parte toccata all’Austria nell’iniquo sbrano della Polonia. L’Austria aveva cercato, come i re fecero dappertutto, di deprimere la potenza dei signorotti, eguagliare il diritto, cioè ridurre sotto alla medesima legge il villano e il feudatario, emancipando i possessi, abolendo il servaggio e le prestazioni personali. In conseguenza gliene volevano male i signori, quasi attentasse ai loro aviti privilegi, mentre il popolo la considerava indicatrice delle sue giustizie. Ma la ciurma intendeva meglio coloro che la incitavano a sfogare sopra i possessori di castelli e di terre l’ira, l’avidità, la libidine. Supporre che l’Austria spingesse a ciò sono fole (sic) dei tempi di rivoluzione . . . .

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    Fatto sta che le plebi si sollevarono ferocemente, come aveano fatto in Germania al tempo della Riforma e in Francia al tempo della Rivoluzione, saccheggiando, scannando, vituperando i ricchi, diguazzando in quelle stragi civili, dov’è difficile discernere l’eroe dall’assassino, la vittima dal manigoldo, l’istigatore dal domatore. Il governo dovette mandarvi eserciti e bandire la legge marziale, applicata con eccessi, ai quali pur troppo sono associati i nomi di Ferdinando d’Este e del lombardo generale Serbelloni.

          A quegli eccidi inorridì l’Europa; e poichè l’Austria le era esosa, siccome conservatrice fra la prevalente manìa del cambiare, sì ripete dappertutto che essa medesima avesse aizzato le rabbie popolari per disfarsi dei signori e togliere ogni disuguaglianza nel servaggio.

          Nei quali frammenti non si sa se maggiori siano o le impudenti menzogne e le contraddizioni dello storico, o le velenose e gesuitiche insinuazioni dell’apologista dell’Austria.

          Impudenti menzogne sono le due affermazioni che l’Austria si sia scagionata efficacemente delle accuse lanciate contro di lei nelle stragi di Galizia, da almeno cinquanta scrittori di ogni nazione, dal D’Azeglio al Bertolini, dal De-Boni al Gualterio, dal Ricciardi al Poggi, dal Cattaneo al Ricotti, dal Cormenin al Grarnier-Pagès, dal Montalembert al Flathe, e che l’Austria sia da un pezzo il capro emissario dei misfatti che si compiono in Italia; quasi che le condanne dei patrioti dal 1821 in poi, e gli assassini di Ugo Bassi e di Ciceruacchio e del tredicenne suo figlio e le fucilazioni di centinaia di Bolognesi, di Romagnoli e di Marchegiani, e le impiccagioni dei martiri di Belfiore fossero state commesse da Vittorio Emanuele II, o da Leopoldo II e non dal governo austriaco.

          Manifeste contraddizioni sono, dopo quelle affermazioni, le altre che