Pagina:Ciceruacchio e Don Pirlone.djvu/232

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capitolo quarto 225

La lettera era stata dettata dal Mamiani, la ricca bandiera era stata fatta per oblazioni: Angelo Brunetti che si era affannato a raccoglierle, vi rimise, e di gran cuore, una bella somma del proprio.

Frattanto una festa splendidissima di fraternità militare era avvenuta a Roma il giorno 7 ottobre: una grande manovra e rivista alla Farnesina fuori di porta del Popolo. Vi intervennero soldati di linea, granatieri, dragoni, artiglieri, cacciatori, tutte le milizie regolari pontificie di stanza in Roma e quattromila guardie civiche, completamente abbigliate e stupendamente ordinate. «Dopo le manovre e il bacio delle armi ebbe luogo l’affratellamento della civica e linea, che facevan di sé magnifica mostra per la bella tenuta, e quindi baci, amplessi ed evviva fragorosi, ai quali associatasi eziandio il popolo numerosissima che eravi accorso. La festa somministrò uno dei più belli spettacoli, e dire il contrario sarebbe fare onta alla verità1.

Ma allo Spada non va punto a grado che, a sera, rientrando in città, civici, soldati e popolo, nel gridare viva Pio IX acclamassero anche viva l’Italia! O che pretendeva lo Spada che quei bravi soldati entusiasmati dall’affratellamento seguito, gridassero viva l’Austria, o viva la Santa Alleanza?

Pio IX, che aveva consentita quella festa, nel provvedere in

    che è necessario ad una ricostruzione», quasi che un popolo, che si svegliava, dopo così lungo servaggio, negli impeti della sua giovanile inconsideratezza, avesse potuto sulla tomba del Ferruccio a Gavinana, cantare litanie e paternostri e gridare: «Viva Carlo V, Viva Casa d’Austria!». Gl’Italiani gridavano, a quei giorni, ciò che era naturale e logico che dovessero gridare e ciò ohe, in quell’ambiente, in quello spazio, in quella condizione degli animi, dovevano necessariamente gridare, senza preoccuparsi se quelle acclamazioni potessero dispiacere, in avvenire, al Cantù, così dotto del senno del poL Che quelle declamazioni, quelle acclamazioni, quella giovanile baldanza, quelle intemperanze siano state inutili lo afferma gratuitamente il Cantù; ma la concatenazione logica dei fatti di allora con quelli di un decennio dopo sta a dimostrare che gli errori di allora - che erano razionale e legittima conseguenza di cause secolari precedenti - furono utili e prodosaero l’assennatezza e la concordia per le quali, dieci anni dopo, gl’Italiani poterono giungere a riaffermare solennemente la loro unità politica, fatto che tanto cuoce al Cantù.

  1. G. Spada, op. cit., vol. I, cap. XIX. Il Grandoni (op. cit., anno II, pag. 91) è ancora più caldo ed entusiasta dello Spada nel descrivere questa festa civile e militare; e non meno di lui il Saffi, op. cit, cap. VI, pag. 120-121. Cfr. Contemporaneo del 9 ottobre 1847, n. 41; Speranza del 13 ottobre, n. 11 e Pallade dell’8 ottobre, n. 77.