Pagina:Ciceruacchio e Don Pirlone.djvu/304

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capitolo quinto 297

a bella posta procurata. Il popolo silenzioso attende avidamente la parola del Principe, che con fedel precisione qui riportiamo. "Prima che la benedizione di Dio scenda su di voi, sul resto del mio Stato e, lo ripeto ancora, su tutta l’Italia... " A tali accenti il popolo piange per gratitudine e contentezza; tanto era grande l’affetto con cui parlava Pio IX, "... prego che siate tutti concordi, manteniate quella fede che avete promessa al Pontefice ". Il grido universale - sì, giuro, - imita il fragore del tuono, e questa interruzione naturalissima ha durato per qualche tempo: quindi Pio IX continua: "Avverto però, che non si levino più quelle grida, che non sono del popolo, ma di pochi; e che non mi si facciano alcune domande contrarie alla santità della Chiesa, che non posso, non debbo, e non voglio ammettere. A questa condizione con tutta l’anima mia vi benedico1.

Ho voluto riportare, nella sua ingenua e barocca semplicità, la narrazione del Grandoni, come quella che più è in armonia col racconto che di quell’avvenimento mi ha ripetuto più volte l’amatissimo padre mio, testimone oculare ed auricolare, il quale aggiungeva un particolare, non rammentato dal Grandoni, ma notato dallo Spada e cioè che le tre frasi, non posso, non debbo e non voglio, furono pronunciate dal Papa con veemente concitazione di voce.

Già, nello stesso giorno, il Pontefice aveva ricevuto in udienza i colonnelli della civica e gli ufficiali superiori delle milizie regolari residenti in Roma, e aveva loro detto: — appellarsi esso alla loro lealtà, affidare alla civica la tutela dell’ordine, delle vite dei cardinali, delle vite e delle sostanze dei cittadini: aver nominato una Commissione ad esaminare fin dove e in quanto si potessero estendere le riforme iniziate: voler mantenere ciò che aveva promesso; non volere accettare e subire coercizioni; non voler consentire mai in cose contrarie alla Chiesa e alla

  1. B. Grandoni, op. cit, pag. 125 e 126. Cf. Gazzetta di Roma (succeduta al Diario di Roma) del 12 febbraio, n. 20; Bilancia del 17 febbraio, n. 100; Speranza del 15 febbraio, anno II, n. 25; Labaro del febbraio, n. 8; e Pallade del 12 febbraio, n. 166, la quale stigmatizza i gridi di morte, biasimati dal Pontefice augusto (morte ai gesuiti, morte agli Austriaci, ecc.) e non esita a dichiarare che quei gridi non possono essere proferiti che da gente venduta all’oro straniero.