Pagina:Ciceruacchio e Don Pirlone.djvu/330

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capitolo quinto 323

L’impeto dello iscriversi fu tale che in breve ora si doverono chiudere i ruoli, giacché il numero dei volontari che avevano dato il loro nome, già superava quello delle armi e degli indumenti disponibili.

Si raccolsero le offerte in danaro e in oggetti preziosi, e, in pochi giorni, si ebbero circa 1600 offerte della complessiva somma di trentatremila e ottocentotrentanove scudi, pari a lire centosessantamila circa, oltre parecchie centinaia di doni preziosi; onde gli oblatori sommarono a circa duemila e l’importo a circa duecentomila lire1.

Del resto sullo slancio patriottico di quei giorni, sulla spontaneità delle offerte, sugli impeti generosi della gioventù, sull’entusiasmo universale, cosi favella, non sospettabile di esagerazioni, il Farini:

«e chi era atto alle armi versarsi ne’ campi di guerra, e le donne inanimire i mariti ed i figliuoli, ed i preti benedire le bandiere e all’altare della patria i cittadini arrecar doni; et vide molti esempi di generosità e di sacrifizio. Il

  1. Curiose sono, a questo proposito, le osservazioni e le insinuazioni dello Spada circa la maggiore o minore spontaneità di queste offerte e più curiosa ancora è l’analisi, dirò così, chimica che egli fa degli oblatori e delle offerte per venire alla conclusione che quelle efferte furono scarse. (G. Spada, vol. II, cap. VII). Al qual proposito voglio narrare qui un aneddoto di cui fui testimone oculare e del quale - quantunque non avessi allora dieci anni ancora - serbo vivissima la ricordanza.
          A piazza di Sant’Eustachio, dinanzi al luogo ove si apriva ed è ancora aperta la farmacia Corsi, stavano seduti attorno a un tavolo alcuni membri della Commissione che raccoglieva le offerte, contornati da molta gente. Nostro padre condusse me e i miei fratelli minori Ettore, Fabio e Mario, vestiti tutti alla foggia italiana, dinanzi alla Commissione per offrire uno scudo, dopo averci ammoniti che per un mese dovevamo rinunciare a mangiare dolci o frutta in fine del pasto e dopo che noi avevamo tutti di gran cuore aderito. Indi ci condusse al primo piano del palazzo Maccarani, che sorge lì, di fronte alla farmacia, ove dimorava una rispettabile e degnissima gentildonna, la duchessa Giulia d’Altemps, nata contessa Carradori, donna di grande cultura e di sentimenti patriottici e liberali animata. Stavamo guardando, dietro i cristalli della finestra, quella folla e gli offerenti, di cui la Commissione riceveva le oblazioni. Ad un tratto vediamo uno dei domestici della duchessa, un uomo sulla cinquantina, alto, asciutto, con la barba tutta rasa, che si chiamava Giovanni - e pur troppo ne ignoro il cognome - il quale va a dare la sua offerta - poi sapemmo che essa consisteva in un papetto, ossia due paoli. - Intanto che il commissario incaricato prendeva le annotazioni sul registro, molti degli astantì riconoscono in quell’offerente un pover’uomo di condizione domestico, onde, diffusasene la voce, allorché il povero servitore si ritirò, un fragoroso applauso della folla lo salutò ed accompagnò nella sua dipartita.