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34 ciceruacchio e don pirlone

E la concordia nei mezzi non poteva esserci, a quei dì, per due potentissime cause, delle quali quella discordia era la logica e legittima conseguenza; cosa questa alla quale si ostinano a non voler por mente molti di quei moderati, che presero parte a quelle vicende e vollero scriverne le storie, e molti di coloro che, anche ora, di quei moti e di quelle vicende del nostro nazionale risorgimento, dettano narrazioni, riempiendole di se e dì ma di cui la Istoria non può ammettere e non ammette vadano attorno infarcite le sue pagine.

E la prima ragione di quella discordia, circa i mezzi da adoperarsi per raggiungere il fine, in cui tutti erano concordi, era questa: che le divisioni politiche d’Italia erano secolari ed erano state determinate, non soltanto da interessi dinastici, ma anche da interessi regionali o municipali, come li chiama il Gioberti1, i quali interessi dovevano quindi, ad insaputa, talvolta, anche di coloro stessi che proponevano i metodi da adoperare per raggiungere il gran fine, influire e prevalere nella determinazione di quei metodi, onde, ad esempio, un metodo che più e meglio rispondeva agli interessi dei Napoletani doveva avere numerosissimi seguaci e fautori nelle provincie meridionali - dove quel metodo doveva necessariamente sembrare il più razionale e il più logico - e scarsi nelle altre provincie, e viceversa, un metodo diverso e più in armonia cogli interessi dei Toscani doveva trovare maggiori proseliti in Toscana e cosi, via via, di ogni altra regione discorrendo.

L’altra ragione, che si opponeva alla concordia dei mezzi, si è questa: che il fine comune era una proposizione complessa, suddivisa in tre proposizioni, indipendenza dallo straniero, libere istituzioni e unità nazionale; onde appare ovvio che dissenso dovesse esservi circa i modi di conseguire quel triplice fine; ed è naturale che i Lombardo-Veneti, su cui più direttamente e più odiosamente gravava il giogo straniero, dovessero anzitutto desiderare la indipendenza dallo straniero, mentre più facilmente erano e dovevano essere inchinevoli a desiderare che l’inizio dell’impresa dovessero essere le riforme liberali, le popolazioni napoletane nella loro maggioranza, e

  1. V. Gioberti, op. cit., vol. I, lib. I, cap. VIII, pag. 250 e cap. IX, pagine 289 a 302.