Pagina:Ciceruacchio e Don Pirlone.djvu/414

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capitolo settimo 407

traddizione, la quale aveva dominato, dalla occupazione di Ferrara fino a quel punto, su tutti gli avvenimenti.

«L’Allocuzione papale - scrive avvedutamente, a questo proposito, uno storico tedesco - vien segnalata, non senza fondamento, come principio della reazione in Italia, e i reazionari, che spesso fino allora avevano strepitato contro Pio, ne giubilarono, poiché potevano osare. Pio, in verità non s’era mutato, egli mostrava soltanto un po’ più di coraggio, il coraggio del manifestarsi; l’Allocuzione era un fatto audace, un gran fronte indietro. Molti di sentimenti nazionali, ma piani insieme e conservativi, non potevano o volevano credere, né lasciar credere, che Pio non potesse o non volesse essere il vessillifero della sollevazione e della lotta. Essi cercavano ancora d’ingannare sé e gli altri, quasi quella fosse soltanto una sorpresa della fazione austro-gregoriana»1.

E, infatti, mentre a Roma ancora continuava vivissima l’agitazione, mentre il ministro Galletti metteva fuori una notificazione per richiamare la popolazione alla calma, mentre il Papa affidava definitivamente, alle due pomeridiane del 2 maggio, al conte Terenzio Mamiani, l’incarico di costituire il nuovo Ministero, mentre il Consiglio comunale di Roma votava esso pure un indirizzo al Papa non chiedendo che egli, nunzio di pace, provocasse il popolo alla guerra, ma che non impedisse di provvedere alla guerra per mezzo di coloro ai quali egli volle affidate le cose temporali; mentre il sostituto al Ministero dell’interno, dottor Luigi Carlo Farini, veniva inviato al campo di Carlo Alberto, con la speciale missione di pregare il Re a ricevere sotto la sua protezione e il suo comando le milizie regolari e le volontarie dello Stato romano, affinchè fossero trattate dal nemico come esercito belligerante, protestavano i rappresentanti di Lombardia, di Venezia e di Sicilia, con quella maggiore franchezza che conveniva a popoli combattenti per la libertà e indipendenza d’Italia, e non rattenuti e impediti da convenienze cortigiane. La loro protesta fu pubblicata per le stampe, il che molto spiacque al Pontefice, il quale a me che scrivo - quando nella qualità di commissario di Sicilia, insieme ai miei col-

  1. H. Reuchlin, op. cit., vol. II, cap. XVIII, pag. 191.