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ali ai piedi. E dopo aver corso due giornate intere, trovò in mezzo agli alberi una piccola casa senza finestre.

Sulla porta della casa c’era seduto un bel coniglio, che aveva il pelame turchino (come i capelli della Fata): il quale, vedendo Pipì, si alzò da sedere e lo salutò garbatamente, portandosi la zampa destra all’altezza del capo, a uso del saluto militare.

― Che cosa fai costì, mio bellissimo coniglio? — gli domandò lo scimmiottino.

― Stavo appunto aspettando Vostra Signoria.

― Chi è questa Vostra Signoria?

― E lei.

― Sono io! Ah intendo; intendo! Compatiscimi, amico; perchè i poveri come me, quando sentono darsi di Vostra Signoria, credono sempre che si parli di qualcun’altro. Non avresti per caso da offrirmi un po’ da mangiare e un po’ da dormire?

― Si degni di passar dentro, e troverà l’uno e l’altro. ―

Pipì, com’è facile figurarselo, accettò di gran cuore l’invito; e appena messo il piede sulla soglia di casa, vide nella stanza terrena una tavola apparecchiata e una materassina ripiena di penne di uccello, distesa per terra.

Senza far complimenti, si pose subito a tavola, e dopo aver divorato in un attimo un piatto intero di nespole e di fichi verdini, principiò a dire sospirando:

― Ho sofferto tanto, amico mio! La mia vita è tutta un’iliade....

― Che cosa vuol dire iliade?

― Non lo so nemmen io e non m’importa di saperlo. Io sono come certi ragazzi, figliuoli degli uomini: ripeto a caso quel che sento dire, e non mi curo d’altro.