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SONETTO LXXXIV


Quel fior d’ ogni virtute in un bel prato
   Con l’ aura della mia gioiosa speme,
   Tal’ odor mi diè già, che ’l dolce seme
   Fa il frutto amaro ancor soave e grato.
Se n’ è benigno, o pur contrario il Fato,
   Non si discerne infin all’ ore estreme,
   Che se l’ un mal s’ allenta, l’ altro preme,
   Sempre è dubbioso il nostro miser stato.
Ma per cangiar di tempo, o di Fortuna
   Non fia cangiato in me l’ alto pensiero
   Di lodar la cagion, piangere il danno.
Dall’ antica passion nacque sol’ una
   Fede al mio petto, che non men sincero
   Del primo giorno sarà l’ ultim’ anno.


SONETTO LXXXV


Penso per addolcire i giorni amari
   All’ amata cagion far degna stima,
   Che viva in Cielo, e ’n terra ancor la prima
   Luce, che ’l secol nostro orni e rischiari.
Tento i gravi martir, dogliosi e cari,
   Narrar piangendo, e disfogargli in rima;
   Prendo consiglio da color, che ’n cima
   D’ alto saper son’ oggi eccelsi e rari.
Veggio, ch’ una volubil ruota move
   L’ instabil Dea, che per vie lunghe, o corte,
   Chi più lusinga, a maggior mal riserba:
Ma non trovando al fin ragion, che giove
   All’ alma, nel suo duol sempre proterva,
   Prego, che ’l pianto mio finisca Morte.