Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/275

Da Wikisource.
   [v. 31-42] c o m m e n t o 231

lo impedimento che occorse nel loro navicare, e lo rimedio che Virgilio vi prese, e dice così: Mentre noi; cioè Virgilio et io Dante, corravam1; cioè navicavamo veloci, come chi corre, la morta gora: cioè quella palude Stige, che è acqua morta, e lotoso2 come detto è di sopra, Dinanzi mi si fece; cioè a me Dante, un pien di fango; cioè uno spirito di quelli che si punivano in quel pantano, e però dice pien di fango, perchè finge che fosse tutto fangoso, e lotoso. E disse; a me Dante: Chi se’ tu che vieni anzi ora; cioè innanzi che sia ora di venire, considerato che non se’ ancora morto? Questi che domandò, fìnge Dante, che fosse uno Fiorentino, come si dirà di sotto, il quale credea che Dante fosse menato dalla navicella per essere gittato nella palude, come fìnge l’autore che solesse fare Flegias, delli altri che raccoglieva in su la navicella. Allora Dante rispose: Et io; cioè Dante risposi, s’intende, a lui: S’io vegno, io non rimango; come rimangono li altri che ci vengono. E per questo allegoricamente intende l’autore, che benché molti del mondo vadano in su l’ira, non rimangono: chè se n’escono pentendosi, e confessandosene, e portandone la penitenzia, e questi non sono gittati nella palude Stige. Ma tu chi se’, che sì se’ fatto brutto? Domanda ora Dante per riconoscer lui, e improverandoli la sua bruttura. Veramente brutta cosa è a vedere l’atto dell’iroso. Rispose; quel brutto a me Dante: Vedi, che son un che piango. L’autore rappresenta la condizione dell’iroso, che è impaziente quando s’ode biasimare, come ora costui che Dante dice che è brutto; e non potendosi altrimenti vendicare piagne, e però fìnge che costui rispondesse a quel modo. Et io; cioè Dante dissi, s’intende, a lui; cioè a quello che m’avea così risposto: Con piangere e con lutto, Spirito maledetto, ti rimani; in cotesto pantano, e nella tua bruttura, Ch’io ti conosco; chi tu se’, ancor sia lordo tutto; cioè benché tu sia tutto lordo. Questo finge l’autore per mostrare che, quando l’uomo si mette a considerare le condizioni dell’iroso, se ne turba pigliandone dispiacere. Chi è che consideri saviamente lo peccato e il vizio, che non ne pigli dispiacere? E però in su la nave dell’ira non si navica sanza ira. Allora; cioè quando Dante ebbe così risposto, stese; quello spirito, al legno; cioè alla navicella, ambo le mani; per afferrarlo, e per tirare Dante sotto nella palude. E qui si mostra l’altra condizione dell’iroso, che poi che à oltraggiato con parole, si sforza di oltraggiare con li fatti, crescendo l’ira per le risposte fatte; et allora stende al legno ambo le mani; cioè stende all’ira tutta la sua

  1. Corravam è per consueta riduzione de’ verbi d’una coniugazione ad un’altra, nell’origine della nostra favella. E.
  2. C. M. e cenosa come