Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/390

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346 i n f e r n o

70L’animo mio per disdegnoso gusto,
      Credendo col morir fuggir disdegno,
      Ingiusto fece me contra me giusto.
73Per le nuove radici d’esto legno
      Vi giuro, che giammai non ruppi fede
      Al mio Signor, che fu d’onor sì degno:1
76E se di voi alcun nel mondo riede,
      Conforti la memoria mia, che giace
      Ancor del colpo che invidia le diede.
79Un poco attese, e poi: Da ch’el si tace,
      Disse il Poeta a me, non perder l’ora;
      Ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace.
82Ond’io a lui: Domandal tu ancora2
      Di quel che credi, che a me satisfaccia,3
      Ch’io non potrei: tanta pietà m’accora.
85Perciò ricominciò: Se l’uom ti faccia
      Liberamente ciò che il tuo dir prega,
      Spirito incarcerato, ancor ti piaccia
88Di dirne come l’anima si lega
      In questi nocchi; e dimme4, se tu puoi,
      S’alcuna mai da tai membra dispiega.5
91Allor soffiò lo tronco forte, e poi
      Si convertì quel vento in cotal voce:
      Brevemente sarà risposto a voi.
94Quando si parte l’anima feroce
      Dal corpo, ond’ella stessa s’è divelta,6
      Minos la manda alla settima foce.

  1. v. 75. C. M. fu d’amor
  2. v. 82. C. M. Dimanda tu
  3. v. 83. C. M. sodisfaccia,
  4. v. 89. dimme. Gli antichi talora in luogo della particella pronominale incorporavano al verbo il nome personale. Ciullo d’Alcamo disse avereme per averemi o avermi. E. — C. M. dinne,
  5. v. 90. C. M. S’alcuna poi di tal membra si spiega,
  6. v. 95. G. M. essa stessa si disvelta,