Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/530

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   486 i n f e r n o   xviii. [v. 115-136]

no dal quale sperano di sottraere sì, che per viltà bene stanno nello sterco: imperò che non è maggiore viltà che la servitudine. E questi così fatti uomini putono a Dio et al mondo sì, che ben fa a porli fastidiosi 1 e puzzolenti; e continuamente si battono con le mani fastidiose: imperò che lodando li vizi altrui, arrecano l’altrui colpe a sè, e questa specie di adulatori più si trova nelle corti de’signori che altrove.

C. XVIII — v. 115-126. In questi quattro ternari l’autor manifesta lo peccato che si punisce nella seconda bolgia, fingendo che favellasse con un’anima la quale qui nomina, dicendo così: E mentre ch’io; cioè Dante, là giù; cioè in quella seconda bolgia, con l’occhio cerco; cioè riguardo, Vidi un col capo sì di merda lordo; perch’era fitto in quello sterco, Che non parea s’era laico o cherco: però che non se li vedea il capo. Quei; cioè colui ch’io riguardava, mi sgridò; cioè me Dante: Perchè se’ tu sì gordo Di riguardar più me, che li altri brutti; che ce ne sono tanti? Et io; Dante, a lui; cioè a quell’anima: Perchè, se ben ricordo; cioè s’io ò buona ricordanza, Già t’ò veduto coi capelli asciutti; e non brutti, come ài ora 2, E se’ Alesso Interminei da Lucca. Questi fu messer Alesso Interminelli, cavalier da Lucca, il quale fu grande lusinghiere mentre che visse, e però finge l’autore che sia in questo luogo, Però t’adocchio; cioè t’avviso, più che li altri tutti; perch’io ti conosco. Et elli; cioè messer Alesso, allor; mi disse, s’intende, battendosi la zucca; cioè percotendosi il capo con le mani fastidiose, per dolore ch’avea per la sua miseria: e dice zucca, perchè comunemente li Lucchesi ànno la testa leggiere, come la zucca quando è secca; o perchè la testa è umida per lo cerebro che v’è, come la zucca. Qua giù; in questo vitupero, m’ànno sommerso le lusinghe; ecco lo peccato ch’elli manifesta che l’à condotto a quel luogo, Ond’io; cioè dalle quali, non ebbi mai la lingua stucca: imperò che sempre l’usai.

C. XVIII — v. 127-136. In questi tre ternari e un verso l’autor finge, come Virgilio li dimostra ancor un’altra gran peccatrice nel detto vizio, dicendo: Appresso ciò; cioè a quel ch’è detto, lo Duca; cioè Virgilio 3: Fa che pinghe, Mi disse; tu Dante, il viso un poco più avante; che non ài fatto insino a qui, Sì che con li occhi ben la faccia attinghe; cioè aggiunghi, Di quella sozza e scapigliata fante; la quale elli li mostrava, Che là si graffia con l’unghie merdose; per dolore, Et or s’accoscia, et or è in piede stante; cioè ora si pone giuso, et ora si lieva suso. Taida è la puttana; cioè quella, che rispuose Al drudo suo; cioè al suo amante, quando disse; il suo drudo

  1. C. M. fastigiose
  2. C. M. ài avale, E se’ Allessio Interminel
  3. C. M. Virgilio mi disse: Fa che pinghe; tu