Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/904

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860 i n f e r n o   xxxiv. [v. 106-126]

come in sì poca ora: poco spazio era che, essendo nell’emisperio nostro, Virgilio avea detto che la notte risurgea; e però dice: e come in sì poca ora, Da sera a mane à fatto il Sol tragitto; come dicesse: Pur testè; o vuogli dire: Ora era sera, come dicesti, et io veggio diventato così tosto mattina? E questo era verisimile, come si mosterrà di sotto che, quando nel nostro emisperio comincia la notte, nell’altro comincia il di’; e Dante in poco spazio di tempo era passato dall’uno emisperio all’altro tanto, ch’era in su la mezza terza dal lato di là, di qua forse un’ora e mezza di notte; e però dice che il sole li pareva ito subito da sera a mane, non però che così fosse; ma pareali, perchè avea mutato emisperio.

C. XXXIV — v. 106-126. In questi sette ternari finge l’autore Virgilio risponda alle sue domande che à fatte di sopra, e prima premette le cagioni dell’errore che è la falsa imaginazione, e questa toglie via, dicendo così prima: Et elli; cioè Virgilio, disse, a me; cioè Dante: Tu imagini ancora D’esser di là dal centro; cioè della spera mundi1, che per la fizione che pone di sotto, se ’l non fosse la terra equalmente da ogni parte in mezzo della spera, come dimostra quella fizione, addiverrebbe che il centro del mondo non sarebbe a punto nel mezzo della terra; ma sarebbe in quel luogo della terra, ove fosse il punto mezzo di tutte le spere; e però si dee intendere come detto è. ov’io mi presi; dice Virgilio, Al pel del vermo reo; cioè del Lucifero, il quale egli chiama vermo: imperò che come il vermo rompe e rode2 e guasta lo legno; così elli corruppe il mondo; e ben dice reo, perch’elli indusse ogni retà3, vizio e peccato, che il mondo fora; cioè penetra, quanto alla lettera: imperò che, cadendo forò la terra e rimase4 nel centro, ove vanno tutte le gravi cose; et allegoricamente elli fu colui che corruppe primamente il mondo a’ vizi e peccati, et ancora corrompe sì, che ben dice che fora il mondo; et intende esser di là dal centro; cioè dall’emisperio nostro, ove siamo noi al presente. Di là fosti cotanto; tu, Dante, quant’io scesi; attenendomi a’ peli del Lucifero, quando m’avvinghiasti il collo: Quand’io mi volsi; come appare di sopra, tu passasti il punto; e finge che si volgesse, per affermare quello che dicono i filosofi; cioè che infino al centro della terra, ogni cosa scende, e poi monta quando è di là, Al qual si traggon d’ogni parte i pesi: imperò che come dice il Filosofo: Di natura alle cose gravi s’appartiene di discendere sì, che da ogni parte del cielo discenderebbono infino al centro, se la terra fosse forata da ogni superficie, e di sotto e di sopra e d’amendu’ li lati discenderebbe la cosa grave infino al centro. E se’ or sotto

  1. C. M. spera del mondo,
  2. C. M. lo vermo rode, corrompe e
  3. C. M. riezza,
  4. C. M. e ruinasse nel centro,