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INFERNO. — Canto XIII. 251

parti del settimo circolo d’Inferno, e dice: qui si scende questo secondo girone. Nella terza parte che comincia quivi: Io sentìa già d’ogni parte, pone l’anime delle quali introduce parlare una, cioè Piero delle Vigne cancelliere dello imperadore Federigo secondo, e qui palesa sua grandezza d’onore nella prima vita, e suo miserissimo fine. Nella quarta che comincia quivi: Però ricominciò, s’inchiere e dichiara come li spiriti violenti si fanno spini in questa selva, e se mai torna neuno nella prima forma. Nella quinta ed ultima parte introduce alcuna anima dei violenti nelle quali ad occhio sì dimostra ciò che li domandò di sopra nella quarta parte, e questa incomincia quivi: Noi eravamo. E però in questo capitolo si tratta della pena di coloro che uccidono loro medesimi ».

Circa la quale ingiuria di sè medesimo può essere questione: se l’uomo può aver odio a se medesimo o no. E perchè si possa bene avere odio a sè medesimo secondo che è scritto nel Psalmo: qui diligit iniquitatem, odit animam suam. Molti sono che amano iniquitade sì che si segue ch’elli abbiano in odio sè medesimi e l’anima sua. Ancora noi odiamo quello a chi noi vogliamo ed adoriamo male; molti sono che adovrano in sè male come quelli che s’ancideno sè stessi; dunque può l’uomo avere odio a sè medesimo. Ancora Boezio dice, secundo De Consolazione, che l’avarizia fa l’uomo odioso per la qual si segue che ogni uomo ha in odio l’avaro: certo è che molti sono avari, e cognoscensi avari; dunque quelli odiano sè medesimi. In la contraria opinione è san Paolo ad Ephesios V.nemo unquam carnem suam odio habuit. Alla quale questione responde san Tommaso nella prima parte della seconda questione 29, articolo 8: ch’ell’è impossibile naturalmente che l’uomo possa avere odio a sè stesso, perchè naturalmente l’uomo ha appetito di bene perchè avere appetito di male è di fuora e senza la volontà, sicome dice Dionisio, 4, De divinis nominibus: ―aliquem amare est velle ei bonum. Per la qual cosa è necessario che l’uomo ami sè medesimo: ed è impossibile che l’uomo naturalmente abbia odio a sè: ma aviene bene che l’uomo può odiare sè medesimo; e questo è per accidente, e può essere in due modi.

Lo primo è da parte di quel bene ch’altri vuole, credendo ch’elli sia bene, ed ell’è simpliciter male: siccome appare nel testo di questo capitolo di Dante introducendo a parlare Pietro delle Vigne che disse: credendo col morir fuggir disdegno: credendo fuggire disdegno, che è apparenza di bene, cadde ad ancidersi sè stesso, che è pessimo male.

L’altro modo d’accidente che l’uomo può avere odio a sè medesimo si è in questo modo di estimare secondo la sensualità e li appetiti corporei lo bene. E in questo modo elli odiano sè stessi, in quanto non adovrano secondo lo intelletto ragionevole; e però quelli che amano la iniquitade, giudicano pure per lo sensitivo, e perciò odiano l’anima sua. Sichè chiaro appare che per accidente e non naturalmente lo uomo odia l’anima sua; ed è assoluzione al primo argomento.

Lo secondo argomento si solve che quelli che si ancideno per se stessi, non lo fanno in quanto far male, ma credono far bene.