Pagina:Commedia - Inferno (Tommaseo).djvu/308

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174 INFER O aiUichl avevano del numero quel senso sdolcinato che noi. Son piir di Dante, e in soggetti non d' Ira ì versi : Ond' ella che vedea me sì coni' io (i). Beatrice 'n suso, ed io in lei fjuardava (2). Quel sol che pria ci' amor mi scaldò 'l petto (3). Chi se' tu pronunziato da labbro toscano (4), e con la debita posa, in- nanzi a fue, suona più efficace assai di chi siete, che fa troppo scor- rere la lingua alla fine del verso, e non è punto impresso d' affetto. Questo sia notato semplicemente per saggio delle ragioni che gui- darono la mia scelta. Coloro del resto che certe lezioni spropositate del Codice Bartoliniano e del Padre Lombardi prepongono a quelle de- gli Accademici della Crusca (i quali errarono , ma non mai contro il numero né contro la lingm), troppo più bisognerebbe che le mie ra- gioni a far loro mutare sentenza. La bellezza nella sua maravigliosa unità, è cosa tanto relativa al diverso sentire degli uomini, che la concordia pur di pochi giudizii ed affetti somiglia a miracolo; ed è agli occhi miei indizio certo d' un comune ispiratore , conciliatore e maestro. (1) Par., L t. 29. facevano /bs/a e simili: i dialetti ve- ("2) Par.. II, t. 8. neti ancora voslu per vuoi tu, e tulli i (3) Par.i III, t. i. monosillabi dopo parola aecenlafa (4) Che il tu innanzi ad altro ac- smorzavano l'accento loro; ond' ò pos- cenlo perda più che mezzo il suo lo sibile il rimare non ci ha con oncia prova il composto che i Toscani ne (Inf., XXX).