Pagina:Commedia - Inferno (Tommaseo).djvu/504

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368 «ANTO XXXI. 45. Virgilio, quando prender si sentio, Disse a me: — Fatti' n qua, sì ch'io ti prenda.— Poi fece sì che un fascio er' egli ed io. 46. Qual pare, a riguardar, ia Carisenda Sotto 'i chinato, quando un nuvoi vada Sovr' essa, sì ched ella incontro penda; 47. Tal parve Anteo a me, che stava a bada Di vederlo chinare. E fu tal ora Ch* i' avrei volut' ir per altra strada. 48. Ma lievemente, al fondo che divora Lucifero con Giuda, ci posò; Né, sì chinato, lì fece dimora; E, com' albero in nave, si levò. pena dell'orgoglio è fatto, di re, fac- chino. Co<i N 'sso che mal passò il guado con D janira. porta in groppa il Poeta per il guado di sangue 45. (SD Piscio Inf , XIII: Di sé e d'un cespuglio le' v.n grappo Me- glio qui. Nel -anto XVI l fra Gerione e Dante s'interpone Virgilio Ecco i passaggi di lutio l'inferno: Flegiàs, Gerione, Anteo. 46. ^L) Sulto: a chi é dalla parte ove la torre pnnde. — Ched: eh'. (-L) C'Hsenia Torre di Bolo- logna, oggidì Turremozza, tanto pen- dente, che a chi sia sotto parrebbe, in veder passare una nuvola di con- tro, che non la nuvola ma la torre si mova. Osservazione fatta e ridet- tami da chi non lesse mai Dante. Così fa la luna quando le nubi le movono incontro. L'Anonimo la dice chinata per difetto de' fondamenti. 47. [L) Ora: un momento. 48. (L) Sì: così. (SL) Giuda. Inf., XXXIV, ter- zina 21. (F) Dioora. Prov. l. 42 : Deglu- tiamu< eurn siciil infernui, vivmtem. f sai LXVIII;, 16: Neque absorbeat me profunaum: neque urgeat super me puteus OS suum. La menzione d'Orlando, quella di Tristano e d'Artù nel V e nel XXXI il dell'Inferno, quella di Lan<-iiioiio e di Ginevra nel V d'esso Inferno e nel XVI del Paradiso ; s^n forse i soli accenni alle memorie cavalleresche, in mezzo ai tanti di Mitologia e Sioria antica. Qui abbiamo un'altra simili- tudine Uiitologica la lancia d'Achille; ed è men felice anco nella elocuzione che le altre delle torridi Montereg- gione e della pina di S. Pietro, della nebbia e della nuvola, del tuono e del terremoto Più di tutte forse no- tabile quella d'Anteo che si levaco- m'albero di vascello; e rammenta Pluio che cade com'alb^-ro rollo dal verno e le sue vele seco; e le ali di Lucifero immense: Vele di mar non vid' io mai colali. Vanno senza parola. E sovente è detto dell'andare e dello stare in si- lenzio Anche qui Virgilio si sdegna ai superbi , contro Dio irriverenti ; anche qui i)ani« ha paura. L'orazione ad A meo sa di reitorica forse troppo; rè snnzri pericolo si rilegge Lucano. Ma tutto quel che concerne i giganti e la loro struttura, è s-oltura colos- sale davvero; dove i numeri delle proporzioni e i numeri poetici fanno aimonia, unica forse. Paragonisi il verso potente : Quivi era nien che natie, e 7ti(n che giorno, coll'altro: V non morii e v un ri- masi vico; e cufi le pinure delia luce che già rasserenano il Purgatorio, e faranno il Paradiso divino.