Pagina:Commedia - Inferno (Tommaseo).djvu/518

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382 INPERNO 46. Che se tu a ragion di lui ti piangi, Sappiendo chi voi siete e la sua pecca, Nel mondo suso, ancor, io te ne cangi; Se quella con eh' i' parlo, non si secca. -o-^S^ 46. (L) Ti piangi: ti ]sp;ni. — tendere quella con eh' V parlo , ìa. Canflii: ricambi i. — Que/ia lingua, penna; e corrisponderebbe al modo m (SL) Secca. Per morte ; o, se disopra: ch'io metta il nome tuo ì basta l' ingegno. Potrebbesi in- tra V altre note. Le invocazioni e i preamboli, più che in Virgilio e in alni, abbon- dano in Dante ; e non è artifizio di scuola, ma sì modestia dell'ingegno che, nella coscienza della forza pro- pria e della terribile poteriza del vero, sente quel che gli manca. Il verso che dice di rr.amma e babbo^ richiama quelli di siile ben più elet- to e maturo nel Paradiso :*S'3ràp(ù corta mia favella Pure a quel ch\io ricordo, che Vinfante Che bagni an- cor la lingua alla mammella. E seb- bene e' volesse qui rime aspre e chiocce^ non credo che i versi Da bocca il freddo, e dogli occhi il cuor tristo j Fra lor, testimonianza si pro- caccia, a lui stesso paressero de' suoi migliori. 11 ghiaccio infernale, più grcs?o che quel del Danubio in Austila, essendo tale che un monte caduiovi sopra non lo incrinerebbe; si ptnsi come strettamente fasciati debbano essere i traditori confluivi dentro. Le altro sirailitadini del vetro e della spranga , de' becchi e della rana e della cicogna, sono brevi e però più valenti. La scena dei due fratelli^ tra le più belle, al creder mio, dtl poema: quella di Bocca, maestrevolmente preparata, e con- dotta potentemente.